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Disastri nigeriani, trema la Shell

Disastri nigeriani, trema la Shell

Sentenza storica Tribunali olandesi competenti sugli sversamenti di greggio nel Delta del Niger, A prescindere dal luogo in cui vengono commessi, i crimini ambientali della multinazionale del petrolio saranno giudicati all’Aja. Esultano le associazioni in difesa dei diritti di contadini e pescatori

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 23 dicembre 2015

«I tribunali olandesi e questa Corte ritengono di avere competenza nella causa contro la Shell e la sua controllata in Nigeria». Con questa sentenza venerdì scorso il giudice Hans van der Klooster della Corte d’Appello dell’Aja ha stabilito che la Royal Dutch Shell può essere ritenuta responsabile e quindi citata in giudizio per le fuoriuscite di petrolio della sua sussidiaria – la Shell Petroleum Development Company of Nigeria Ltd (Spdc) – che hanno trasformato il Delta del Niger (il centro dell’industria petrolifera nigeriana) in una colata di greggio a cielo aperto .

Una sentenza storica che ha creato un precedente giurisdizionale per altre richieste di risarcimento contro le multinazionali che operano non solo nel Delta del Niger ma ovunque le aziende controllate abbiano sede. La Shell deve per ordine del giudice mettere a disposizione del tribunale i documenti che potrebbero tanto far luce sulla causa degli sversamenti quanto stabilire se i vertici della corporate ne fossero a conoscenza.

Diverse ovviamente le reazioni suscitate. Da un lato infatti la Spdc ha espresso amarezza per la decisione della corte dell’Aia di assumere competenza internazionale nei suoi confronti aspettandosi invece che le controversie con querelanti nigeriani per problematiche verificatesi in Nigeria dovrebbero essere di competenza della giustizia di quel Paese (vale a dire della Nigeria dove probabilmente le sarebbe più facile dimostrare che quegli sversamenti sono opera di sabotaggio, per non pagare alcun risarcimento come previsto dal diritto nigeriano in casi come questo).

Dall’altro, la decisione è stata invece salutata come una vittoria per le vittime dei disastri ambientali in tutto il mondo dalle associazioni in difesa dei diritti. In particolare da Friends of the Earth Netherlands secondo cui «la sentenza è una vittoria importante, non solo per i contadini, ma in realtà per il popolo della Nigeria. Essa stabilisce un precedente enorme, il che significa che i tribunali olandesi possono processare le aziende olandesi attive in altri Paesi».

La disputa legale risale al 2008 quando cinque contadini e pescatori nigeriani sostenuti dall’associazione Friends of the Earth Netherlands fecero causa alla Royal Dutch Shell, la multinazionale anglo-olandese, e alla sua controllata la Shell Petroleum Development Company of Nigeria Ltd (Spdc) per perdita di guadagni dovuta all’improduttività di terreni e corsi d’acqua contaminati da continue fuoriuscite di petrolio nella regione del delta del Niger. Nel 2013 un tribunale olandese accolse una delle richieste di risarcimento, quella contro la Spdc, e respinse le altre quattro contro la società madre Royal Dutch Shell stabilendo che questa in quanto parent company non poteva essere ritenuta responsabile per gli sversamenti di petrolio presso la sua controllata (la Spdc) nigeriana. Uno dei contadini fu quindi dichiarato idoneo a beneficiare degli indennizzi da parte della Spdc, mentre gli altri quattro fecero ricorso in appello contro la sentenza che escludeva ogni responsabilità della società madre Royal Dutch Shell. Venerdì scorso la sentenza d’appello ha accolto il ricorso e stabilito che i tribunali olandesi hanno invece giurisdizione nel caso dei quattro contadini nigeriani contro il colosso petrolifero della Shell, rivoltando la sentenza del 2013.

In un rapporto di novembre scorso basato su ricerche e sopralluoghi condotti tra luglio e settembre di quest’anno nelle aree di Boobanabe, Bomu Manifold, Barabeedom e Okuluebu della regione di Ogoniland del delta del Niger, Amnesty International denuncia come la Shell si sia sottratta agli obblighi di legge (e agli imperativi etici aggiungiamo noi) di porre rimedio con interventi mirati agli sversamenti di petrolio nel Delta del Niger. Dove è estesa la presenza di macchie di petrolio di cui il suolo è impregnato e i terreni e corsi d’acqua limitrofi contaminati. Segni evidenti di un disastro ambientale dovuto all’inquinamento da idrocarburi e causato dagli sversamenti – non recenti – dalle condutture usurate.

E ai quali la Shell, come altre multinazionali operative nell’area, ha risposto non con investimenti nel rinnovamento delle condutture o con programmi di bonifica e di impatto sociale oltreché ambientale a favore delle comunità locali ma manifestando l’interesse a concentrare probabilmente in futuro gli investimenti sul gas naturale per il consumo interno e l’esportazione. Prendendo le distanze pare da progetti petroliferi onshore in Nigeria, che soffrono furti, problemi di sicurezza e fuoriuscite di greggio che comportano una responsabilità legale (in crescita).

A gennaio di quest’anno la Royal Dutch Shell ha accettato un accordo con la comunità locale interessata impegnandosi a pagare 55 milioni di sterline (circa 83 milioni di dollari), a titolo di risarcimento per due sversamenti di petrolio risalenti al 2008. Annunciando anche un’operazione di bonifica che avrebbe avuto luogo nei mesi a seguire, di cui non ha rivelato né tempi stimati di realizzazione, né l’ammontare degli investimenti. Più che un impegno, pare, un proclama.

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