Lavoro

Disabili discriminati dal «Jobs Act»

Il caso Appello delle associazioni contro l'assunzione dei disabili solo con chiamata nominativa. La norma è contenuta in un decreto legislativo attuativo del Jobs Act

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 21 luglio 2015

Quindici associazioni dei disabili attaccano il decreto attuativo del Jobs Act sul «collocamento mirato» dei lavoratori. In un appello contro la «chiamata nominativa generalizzata» dei lavoratori con disabilità, sostengono che il governo legittima «un meccanismo clientelare» dove la persona disabile «deve chiedere il lavoro come un favore, anziché vederlo riconosciuto come un diritto».

L’accusa sollevata da associazioni come A.l.b.a, dalla consulta sociale handicap del XIII municipio di Roma o «Tutti nessuno escluso» è grave. Con questo provvedimento, l’esecutivo «rischia di svuotare lo spirito della legge 68/99», quella che permette l’assunzione delle persone con chiamata nominativa da parte dei datori di lavoro. Invece di potenziare l’applicazione di questa legge, inasprendo ad esempio le sanzioni per i responsabili delle inadempienze previste, il governo concede «carta bianca ai datori di lavoro» e non incide «sulle motivazioni del suo mancato funzionamento».

Tra gli altri soggetti, hanno sottoscritto l’appello anche l’associazione «Familiari ospiti delle residenze sanitarie assistite», Altovoltaggio onlus e «Odv il mondo che vorrei», l’associazione per la realizzazione dei diritti costituzionali disabili e «Odv Ylenia e gli amici speciali».
A loro avviso, la modifica della legge del 1999 «si tradurrà in una gestione, di fatto, clientelare in quanto il datore di lavoro userà come unico criterio quello della propria convenienza, costringendo le persone con disabilità a cercare di ottenere come favore quello che invece è un diritto».

La deputata Pd Ileana Argentin, affetta da amiotrofia spinale, conduce da tempo la stessa battaglia e ha già polemizzato con il ministro del lavoro Giuliano Poletti. Ora gli ha anche scritto una lunga e dettagliata lettera dove spiega le ragioni della protesta.

Il problema nasce con l’articolo 6 del decreto legislativo sui rapporti di lavoro e pari opportunità. Questo articolo modifica l’articolo 7 della legge 68 del 1999 che prevede un 60% con chiamata nominativa e il 40% con chiamata numerica. A parere di Argentin si trattava di «una buona mediazione tra gli interessi e i bisogni delle imprese e dei lavoratori».

La modifica lede l’articolo tre della Costituzione che stabilisce la parità di trattamento tra i cittadini «che hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, razza, lingua, opinioni e condizioni personali e sociali». Lo Stato deve garantire sia i cittadini che hanno «una sana e robusta costituzione» e coloro che sono «affetti da qualche disabilità, anche grave».

Il governo aveva sollevato grandi aspettati nel mondo delle associazioni che si battono per i diritti delle persone disabili dopo avere rifiutato «di cedere ai tagli lineari indiscriminati del welfare – scrive Argentin a Poletti – Poi, come sempre, si è ceduto alla logica che vuole i numeri più importanti delle persone, che vuole gli interessi di chi ha e di chi può più importanti di chi non ha e non può. Una logica che tanti sconquassi ha creato e sta creando».
La richiesta a Poletti da parte di Ileana Argentin è la soppressione dell’articolo 6, lasciando in vigore il relativo articolo della legge del 1999 che, a suo avviso, «ha avuto grande successo, ripresa a modello anche da vari paesi, tra cui Germania e Francia».

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