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Diritti civili e discriminazioni: la sfida di Megan Rapinoe

Diritti civili e discriminazioni: la sfida di Megan RapinoeMegan Rapinoe

Sport Il pensiero progressista della calciatrice americana e le sue battaglie civili. E non solo

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 3 gennaio 2020

Anche lei, come Colin Kaepernick, il campione del football senza squadra da tre anni dopo la guerra mediatica contro Donald Trump, non canta l’inno nazionale americano. Ma il pensiero progressista di Megan Rapinoe è forse il meglio che stia esprimendo lo sport in lotta su diritti civili e pari opportunità. Punta di diamante della nazionale americana di calcio che ha collezionato successi per decenni e mai un salario all’altezza, Rapinoe è la voce della denuncia. È la nuova Billie Jean King e forse solo negli Stati uniti, casa delle contraddizioni e delle mai sopite questioni sociali e razziali, poteva saltar fuori un personaggio così forte, dai contorni decisi, con la sua potenza mediatica. Per la rivista Sports Illustrated è stata il personaggio sportivo del 2019, si è pure aggiudicata il Pallone d’Oro 2019, dopo il titolo di campionessa del mondo centrato con la sua nazionale.

E LA SUA VOCE è decisa come il tiro sul rettangolo di gioco: «Non vogliamo andare da Trump alla Casa Bianca», spiegava alla Cnn, dopo il trionfo mondiale, stesso concetto espresso nel corso del torneo. Brucia a lei, come brucia a Kaepernick e a tanti altri assi dello sport americano, ancora la stagione di discriminazioni contro la comunità afroamericana da parte della polizia iniziata tre anni fa e mai cessata e soprattutto la politica sull’immigrazione di Trump, le sue ripetute offese alle minoranze, afroamericani, latini, messicani. E già che c’era prima di partire per la Francia, dove le statunitensi sono salite sul tetto del mondo, Rapinoe aveva pure ricordato di essere omosessuale e rappresentante della comunità lgbt da anni.

OVVIAMENTE la risposta presidenziale è puntualmente arrivata («pensi solo a giocare e a vincere»), la calciatrice americana è tornata ad attaccare Trump senza peli sulla lingua anche nei giorni scorsi: «È pazzo, spero nel 2020 in un presidente democratico che abbia a cuore il bene delle persone, soprattutto povere». Ma la sua battaglia ideologica dai toni più alti è per l’equality pay, la pari retribuzione tra uomini e donne nel calcio americano e mondiale. Una questione portata avanti da almeno quattro anni, tra minacce di sciopero, violenti litigi con la federazione americana e una class action delle calciatrici della nazionale per discriminazione di genere, accordata da un tribunale distrettuale della California, contestando le condizioni di lavoro e retribuzione con la maglia a stelle e strisce.

SUL GENDER GAP, anche alla voce stipendi, ci sono i numeri che sostengono la sua crociata: Alex Morgan, statunitense, la calciatrice più pagata al mondo agli Orlando Pride ha un compenso da 408 mila dollari annui (davanti alla stessa Rapinoe, 402 mila dollari dal Seattle Reign Fc) ma è pagata almeno 100 volte meno rispetto a Leo Messi, il più ricco del pallone anche nel 2019.
Megan corre veloce anche sul razzismo: a settembre, alla cerimonia dei Fifa Best 2019 è stata stella sul palco a parlare di diritti, vita reale, discriminazioni, invitando i top player a livello mondiale – che spesso non si segnalano per forti prese di posizione sul tema intolleranza, a differenza di molte star americane – come Messi e Cristiano Ronaldo a schierarsi apertamente contro il razzismo negli stadi. Sono messaggi potenti da lanciare fuori dal campo. Come un tiro in porta.

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