Lavoro

Diop, «l’avvocato» dei metalmeccanici

Diop, «l’avvocato» dei metalmeccanici

Fabbrica integrata «L’integrazione passa dal lavoro, solo con quello ci si realizza. Se manca diventa difficile e la gente non ha più prospettive»

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 12 giugno 2019

Diop Alioune Badara parte dal Senegal nel 1999. Destinazione Europa, in cerca di un futuro migliore rispetto al precariato nella Corte d’Appello del suo paese e all’attesa perenne di un contratto di lavoro sempre rimandato da un avvocato penalista per cui lavorava. Possiede un passaporto di servizio e decide di utilizzarlo per cercare nuove opportunità e una vita migliore in un altro continente. Prima Parigi, poi Milano e infine Padova.

In Francia ottiene il Visto di ingresso per tre mesi e può contare sulla presenza di qualche amico. Ma Diop sa già che la sua permanenza a Parigi sarà effimera, poiché in Francia non ci sono prospettive di regolarizzazioni di massa. Dopo aver saputo che in Italia queste ultime avvengono ogni due anni, si rimette in viaggio per raggiungere Padova, dove ha degli amici che potrebbero offrirgli un posto letto e che lavorano come operai. La prima impressione non è delle migliori, alle prese con il buio e con il freddo, ma soprattutto con la nebbia, un fenomeno a lui sconosciuto, che vede per la prima volta e che definisce «il primo impatto con la diversità».

Gli amici gli mettono subito in chiaro che senza documenti non potrà lavorare, se non vendere qualcosa. È subito colto da stupore. Anche perché possiede degli attestati e ha una buona formazione alle spalle. Dopo un iniziale rifiuto, accetta di adattarsi ad un tipo di vita che non lo soddisfa. Le difficoltà linguistiche non aiutano, ma in un primo momento ricorre all’inglese per comunicare. Ben presto però si accorge che l’ostacolo linguistico deve essere superato per ottenere una fruttuosa integrazione con il territorio. Così decide di comprare un dizionario francese-italiano e di studiare l’italiano di sera, nonostante la stanchezza per le tante ore di lavoro.

Per cinque anni rimane in quello che lui definisce «un limbo». Finché nel 2003, approvata la Bossi-Fini, viene regolarizzato come colf presso una famiglia.

«Dal 2003 ad oggi ho sempre lavorato, fra cooperative, agenzie di lavoro». Con queste parole Diop ripercorre sinteticamente quegli anni.
Proprio nella provincia di Padova Diop entra in contatto con la Cgil e i suoi banchetti. In quelle occasioni conosce i sindacalisti e inizia a frequentare le manifestazioni a Roma. Nel 2005 la Fiom gli propone un contratto a tempo indeterminato e lui entra a far parte della famiglia dei metalmeccanici.

Dopo dieci anni di residenza in Italia presenta domanda di cittadinanza. L’iter dura tre anni. Nel 2017 può finalmente affermare di essere un cittadino italiano. La definisce «una rinascita», dopo un’esistenza di invisibilità a livello giuridico.  Dal 2005 al 2018 svolge il ruolo di delegato Fiom per la provincia di Padova.
Diop dice di apprezzare molto la scelta del sindacato di puntare sui migranti.

«Una scelta coraggiosa, ma più che coraggiosa la definirei in linea con i principi della Fiom». Queste le sue parole per descrivere un sindacato che ha saputo accoglierlo e valorizzarlo e che, a suo parere, rappresenta «un’avanguardia nel panorama sindacale europeo, proprio perché si apre anche a figure e percorsi che provengono dall’esperienza della migrazione». «Questo è un orgoglio per la Fiom», commenta Diop.

Un migrante eletto dagli italiani per dare rappresentanza sindacale ad una provincia veneta. Un quadro che fa riflettere e merita attenzione per diversi aspetti. Sia per la complessità della realtà veneta, roccaforte storica della Lega Nord, sia per il ruolo cruciale che il tema migranti gioca all’interno del panorama politico attuale. Diop sostiene con orgoglio le ragioni delle sue battaglie sindacali e mette in evidenza che la tematica del lavoro è fortemente intrecciata con la democrazia. Soprattutto in tempi come questi.

«In democrazia non possiamo creare cittadini di serie A e di serie B. Il non poter votare è una contraddizione enorme». Così commenta il mancato diritto di voto di tanti migranti. Spiega, inoltre, che la Costituzione italiana si fonda sul lavoro, non a caso presente già nel suo primo articolo.

«Per me l’integrazione passa attraverso il lavoro, perché è con esso che ci si realizza. Se manca il lavoro allora l’integrazione diventa difficile e la gente non ha più prospettive». Un nesso fondamentale nella sua argomentazione e nella sua idea di società.

Dopo aver svolto il ruolo di delegato per molti anni, Diop entra a far parte dell’Ufficio Europa della Fiom, precisamente nel febbraio del 2018.

Quando gli si chiede se, in virtù della sua condizione di migrante eletto da lavoratori italiani, in questa fase politica avverte una responsabilità maggiore del suo ruolo sindacale, lui fornisce una risposta pacata, semplice e ben definita: «è un momento particolare, ma questo non toglie la volontà di lottare per una società ideale. Noi dobbiamo lottare per abolire le disuguaglianze».

Sempre a proposito del presente, parla di «una società che sta mutando, ma non nel verso giusto». Spiega che dietro questo scenario si annidano diversi fattori, ma soprattutto l’uso strumentale della paura a fini elettorali, che finisce per alimentare una dannosa guerra tra gli ultimi. Dalle sue parole emerge uno spessore teorico che tiene insieme tutto: dalla partenza dal Senegal fino all’impegno profuso nel sindacato in Italia.

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