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Dilili nella Parigi Belle Epoque

Dilili nella Parigi Belle Epoque

Intervista Il Lucca Film Festival ha reso omaggio a Michel Ocelot autore della magnifica fiaba

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 27 aprile 2019

« L’inizio è abominevole. C’è un ‘dove’ le donne vengono perseguitate. Molto peggio d’una guerra : è una guerra in cui le donne sono le uniche vittime. Non è proprio un punto di partenza ideale per una fiaba, vero ? ». Nel suo nuovo, magico film, Dilili à Paris, Prix Lumières e César, promosso ai Rendez-vous di Unifrance, distribuito da Bim/Movie Inspired dopo la prima italiana (in contemporanea con il Cartoons on the Bay a Torino) e il bell’omaggio all’autore al Lucca Film Festival/Cinema Europa, Michel Ocelot illustra nelle sue tavole incantate, fatte di favola e colori, il male e la sua cura. Il male sono i ‘Mâles Maîtres’ (maschi mastri), che rapiscono e asserviscono bambine e fanciulle. La cura è Dilili, di gentil gestire appreso da una contessa e di modi fermi nel perseguire i ‘cattivi’ e restituire alle schiave libertà e vita.

Michel Ocelot, la sua nuova creatura di cartoon è un Kirikù al femminile ?

Sì – risponde l’artista, serafico, che a 74 anni ha seguito personalmente il doppiaggio italiano e tenuto due vivaci master class per gli studenti a Lucca e a Pisa –. Il mio microeroe africano, che nel film di 21 anni fa mi ha dato lustro nel cinema d’animazione, liberava da solo il villaggio dai soprusi della strega Karabà. Sia Kirikù che Dilili sono outsider, quasi stranieri nel Paese che abitano. A Parigi, Dilili, immigrata kanak color cappuccino, è lieta che la sua pelle non sia giudicata come nel Paese d’origine ‘troppo chiara’, ma anzi, ‘non abbastanza chiara’.

Ma stavolta la microeroina non agisce da sola.

Si trova alleata una civiltà, quella di Parigi primo ‘900, popolata di personalità irripetibili in ogni ramo della cultura : nella scienza, Marie Curie, Bergson, Pasteur ; nello spettacolo, Colette, Toulouse Lautrec, Satie, Sarah Bernhardt ; nella letteratura, Marcel Proust ; nella scultura, Camille Claudel e Rodin (cui dedico un défilé delle opere) ; nella pittura, Degas, Picasso, Monet, Renoir (‘A Monet piaceva il colore, a Renoir il buonumore’, così sintetizzo la loro arte).

I suoi film sono un’esplorazione di altri Paesi. Perché, adesso, Paris ?

È una Parigi molto speciale, il cuore della Belle Epoque, parossismo della civiltà occidentale : in vent’anni, la Belle Epoque è stata centro e motore in ogni singolo settore della creatività umana. E poi, che abiti sublimi ! Donne, se volete sedurre, gonne lunghe, fino ai piedi ! Pensate a Sarah Bernhardt in short …

È anche l’epoca in cui le donne cominciano a affermarsi.

Sì, è di quegli anni la prima studentessa universitaria. E la prima docente, la prima taxista, la prima avvocatessa, la prima scienziata … Insieme, una bella risposta al monopolio maschile, alle restrizioni subite dalle donne sino allora, quando avevano tutte le leggi contro : e non era neanche pensabile potessero esserci leggi a loro favore.

Il film irride i nostalgici della donna-schiava, promotori nel film d’una strategia-monstre.

La civiltà europea, nonostante le sue tappe più mostruose, s’è rivelata, nel tempo, la più aperta all’evoluzione e alle altre culture. Per esempio, di Picasso, il più europeo e internazionale degli artisti dell’epoca, il film espone l’atelier parigino, fitto di maschere africane, kanak,  asiatiche.

Anche in questo, ‘Dilili à Paris’ è un atto d’amore per Parigi, cui un incendio ha sottratto, proprio nei giorni di Lucca, Notre Dame, che appare più volte nel film ?

Parigi è sempre stata magnifica. Ma quella d’inizio ‘900 m’ha dato l’impressione d’essere un po’ troppo biancastra. Non mi è mai piaciuto un mondo senza colore. Perciò ho infarcito la Parigi d’allora di abitanti colorati : un barman cinese e, soprattutto, tocco al cioccolato, una piccola kanak di Caledonia : del tutto plausibile, dati gli usi parigini d’allora d’ornare d’esotismo i suoi parchi.

Per la prima volta nel suo cinema, i personaggi disegnati hanno per sfondo una città reale, illustrata da sue fotografie. Ulteriore atto d’amore ?

Non è solo una Parigi da cartolina. Spesso è inedita, o sconosciuta. Ho avuto l’autorizzazione di fotografare il tetto dell’Opéra, finora vietato. O di perlustrare le fogne, percorso affascinante : una città al di sotto della città. E il Musée d’Orsay è stato messo due volte interamente a mia disposizione. Quasi 16mila foto in 6 anni, quant’è durata la fabbricazione del film. A differenza delle varie categorie cinematografiche, che si sono opposte o disinteressate a ‘Dilili à Paris’, Parigi mi ha aperto tutte le porte.

Anche lei s’è fatto Dilili, straniero in patria, per il film, che le è valso il premio alla carriera a Lucca?

Mi porto dentro due mondi, due civiltà, Francia e Africa. Nato in Costa Azzurra, ho trascorso l’infanzia in Guinea, prima di tornare e trasferirmi a Parigi. Da piccolo ero nero : cioè l’unico bianco in una classe di neri. Un periodo stupendo della mia vita, per il senso d’equilibrio e bellezza che mi dava l’Africa, la sua gente. Ancora adesso, mi divido tra i due mondi : sei mesi in Francia, sei mesi in Africa. Sono un bastardino : fiero di esserlo.

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