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Difendere la terra degli avi a Baghmara

Difendere la terra degli avi a BaghmaraBaba Chander Singh, membro della tribù dei Binjhal

India Un reportage sul movimento sindacale che si oppone alla multinazionale mineraria inglese Vedanta Corporation

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 14 novembre 2020
Jacopo AgostiniCHHATTISGARH (INDIA)

«Non possiamo permettere lo sfruttamento e la svendita della nostra sacra terra, conquistata con il sangue e le lacrime di Veer Narayan Singh. Sarebbe una ferita all’onore e alla memoria di noi indigeni». Rajim Tandi leader del movimento Dalit Adivasi Munch e Dharam Singh capo del villaggio di Baghmara, si battono contro la multinazionale indiana Vedanta a protezione delle loro terre. Risiedono nel villaggio di Sonakhan («sona» in hindi significa oro), a 100 km dalla capitale dello stato federale del Chhattisgarh, India centrale, una distesa di terreno rossiccio, appezzamenti coltivabili e un insieme di case in mattone e fango.

Tutto attorno infiniti campi di risaie, ananas, papaia, jackfruit, mango ed erbe medicinali sono la fonte di sopravvivenza per gli indigeni, costretti sempre più spesso a fuggire dalle proprie terre. I terreni del Chhattisgarh, oltre ad essere estremamente fertili e rigogliosi, contengono nel sottosuolo beni molto più redditizi. Si tratta di ferro, rame, bauxite, carbone, petrolio e oro: non è un caso che le compagnie minerarie sono presenti da decenni in queste terre.

Lo stato del Chhattisgarh è economicamente florido, ma la ricchezza non è condivisa con la popolazione degli Adivasi (termine hindi per indicare l’insieme dei gruppi etnici e aborigeni dell’India) e dei Paria (i fuori-casta), che costituiscono oltre il 40% degli abitanti al di sotto della soglia di povertà. Oggi il Chhattisgarh assomiglia sempre più a una miniera a cielo aperto e gli indigeni, afflitti da deforestazione, sfratti e compravendite illegali, gradualmente spopolano la regione portando con loro il ricco patrimonio culturale che rappresentano.

Vedanta Corporation
In questo contesto agisce la Vedanta Corporation – una società mineraria britannica con sede a Londra – presente in vari stati indiani tra cui i 608 ettari che comprendono la miniera d’oro Baghmara di Sonakhan. Il 26 febbraio 2016, la compagnia vince l’asta di stato aggiudicandosi la miniera d’oro di Baghmara. Era la prima volta che veniva concessa l’apertura di una miniera d’oro privata. Ad essere minacciate da questa compagnia oggi sono 3000 persone tra cui le tribù dei Binjhal, Binjhwar, Gond, Kanwar, Khond, Turi, Paikra, Saora.

Baba Chander Singh, della tribù dei Binjhal spiega «Chiediamo che sia cancellato il contratto d’affitto a Vedanta, perché ciò rappresenta la salvezza del nostro villaggio». Riprende subito dopo «Noi viviamo dei frutti delle nostre terre ed esistiamo in simbiosi con la foresta e la fauna selvatica. Se le nostre falde vengono inquinate, i nostri fiumi prosciugati e i nostri campi sommersi, di che cosa ci ciberemo noi?»

Il processo di estrazione dell’oro spesso sottrae acqua agli agricoltori e alcune sostanze tossiche (tra cui il mercurio) inquinano direttamente i terreni e le falde circostanti. Deven Ketwas, a sua volta leader del movimento aggiunge «Le nostre donne quando andranno nella foresta a prendere Mahua (frutto), Kendu (foglia), Char (bacca), potrebbero essere molestate e stuprate». Episodi di violenza non si sono ancora registrati, anche se più di una volta gli indigeni sono stati minacciati dagli scagnozzi di Vedanta, oltreché dagli agenti del dipartimento forestale, dalla stessa polizia e da alcuni coltivatori diretti che vedono l’arrivo della multinazionale come una opportunità di profitto.

Diritti
Per difendersi contro questa minaccia le comunità indigene hanno attirato l’attenzione di vari attori e interessi, facendo leva sul concetto di identità, su quello del sacro che lega credenze e tradizioni tramandate dai loro antenati. Rajim Tandi ha deciso di ribellarsi appellandosi anche al Forest Rights Act, del 2006, che concepisce terra e foreste come strumenti fondamentali per la sopravvivenza indígena.

La storia di Rajim inizia quando aveva 18 anni. Ispirandosi agli insegnamenti rivoluzionari dell’attivista sindacale Shankar Guha Niyogi partecipa a diverse lotte in difesa dei diritti delle popolazioni indigene e delle donne. Niyogi è stato il primo a guidare gli Adivasi alla rivolta dopo 300 anni di colonizzazione. Secondo lui, gli aborigeni si erano trasformati in oppressi e forza lavoro sfruttata nei campi. Attivista sindacale, leader dei lavoratori, prima marxista e poi ghandiano, nel 1977 ispirato dal leader Adivasi Veer Narayan Singh, pensò che fosse una buona cosa «riportare in vita» le sue idee, poiché le comunità indigene nel tempo avevano perso orgoglio e identità.

Cominciò a cercare nei villaggi per capire dove fosse nato l’eroe, per rintracciare i suoi antenati, in modo da rimotivare gli Adivasi e recuperare l’identità perduta. Una strategia, questa, ripresa da Rajim Tandi che spinge la gente dei suoi villaggi a combattere contro la compagnia mineraria. In questo modo nasce il movimento che porta avanti la battaglia arrivando a sfidare istituzioni, governi e soprattutto la società mineraria. «La nostra organizzazione si sostiene grazie al contributo di ognuno di noi. Ogni partecipante contribuisce con 120 rupie all’anno e 2 kg di riso, ci muoviamo con i nostri mezzi. La nostra lotta è il prodotto del nostro amore» commenta Deevan Rajendra Singh, presidente del Dalit Adivasi Munch e antenato del famoso freedom fighter Veer Narayan Singh. Il movimento Dalit Adivasi Munch che letteralmente significa «podio del palcoscenico», ovvero un luogo dove gli Adivasi possono parlare da soli, dopo anni di proteste raggiunse il primo ministro Bhupesh Baghel.

Un primo parziale successo contro la multinazionale è raggiunto il 17 dicembre 2018 quando il governo del Congresso, sotto l’attuale primo ministro di stato Bhupesh Baghel, sale al potere nel Chhattisgarh e dichiara che Sonakhan è il luogo di nascita (Janma bhumi) e il luogo di lavoro (Karma bhumi) di Veer Narayan Sigh, il cui patrimonio culturale deve essere rispettato e conservato. Dopo la sua dichiarazione il primo ministro ha deciso che nella miniera di Baghmara non si sarebbe cercato l’oro anche se l’ordine di chiusura della miniera a tutt’oggi non è ancora ufficialmente scritto. Il «parziale successo» quindi si deve principalmente al partito del Congresso Nazionale Indiano che si presenta più sensibile alle richieste dei movimenti.

Inoltre il Forest Right Act del 2006 (su cui ha lavorato Rajim Tandi), che conferisce all ‘«indigenità» un ruolo importante, crea un legame tra stato ed Adivasi e riconosce alle popolazioni indigene uno spazio relativamente significativo all’interno dello stato. Ha aperto infine una moltitudine di possibilità di sovversione, la capacità di costruire spazi creando una breccia nello status quo della politica mainstream. Tuttavia, niente di tutto questo sarebbe successo senza la forte e centralizzata organizzazione del Dalit Adivasi Munch che ha raccolto le risorse necessarie per la mobilitazione.

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