Cultura

Diego Marcon, visioni di infanzie e conti che non tornano

Diego Marcon, visioni di infanzie e conti che non tornano«Glassa», installation view, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, foto di Andrea Rossetti (part.)

ARTE La personale dell’artista al Centro Pecci di Prato (fino al 4 febbraio 2024)

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 3 dicembre 2023

In pasticceria la glassa è quello strato luccicante e zuccherino che copre ciò che sta al di sotto, è un elemento accattivante che però nasconde qualcosa di più profondo. Ecco perché Glassa è il titolo perfetto per la personale di Diego Marcon al Centro Pecci di Prato (fino al 4 febbraio 2024, a cura di Stefano Collicelli Cagol ed Elena Magini), perché per quanto a prima vista la cifra di questo artista possa sembrare spensieratamente ammaliante, in realtà va morso e assaporato fino in fondo per capire davvero cosa c’è oltre la superficie.
La mostra si apre già con un ribaltamento che mette il dietro davanti, non appena entrati infatti ci troviamo di fronte a un muro di monitor visti dal retro che deve essere aggirato. Il contenuto è un vecchio filmato dell’infanzia dell’artista in cui in un interno domestico dei bambini si divertono giocando con armi giocattolo, come si faceva abitualmente negli anni Novanta.

IMMAGINI E SUONO sono rielaborati in modo tale che quella quotidianità, rivista con gli occhi e nel mondo di oggi, diventi inquietante, addirittura disturbante.
Per la maggior parte le ampie sale del museo che contengono la mostra sono candidamente spoglie e per lo più inondate dalla luce naturale che entra dall’alto, in uno studio preciso del display, messo a punto insieme all’architetto Andrea Faraguna, che comprende anche la regolazione della temperatura, mantenuta a un basso livello, quasi glaciale. Appesi al muro ci sono dei cani in ceramica, i riflessi della luce sulla superficie di queste sculture ricordano effettivamente una superficie glassata e, a un primo sguardo, possono sembrare cani felici, accovacciati, addormentati o supini in attesa di carezze. Quando ci si avvicina però si vede che i loro occhi sono sbarrati e il titolo (anche se purtroppo, alla faccia della funzione didattica, in questo museo non ci sono didascalie alle pareti) suggerisce che in realtà questi animali sono già morti.
A spezzare la sequela di cani, tutti diversi ma tutti uguali nella loro condizione di defunti, verso metà del percorso si incontra un altro video in loop realizzato in rodovetro, quasi a ricordarci qual è stato il punto di partenza delle prime animazioni oltre all’importanza della ripetizione nel lavoro di questo artista.

PER ACCEDERE all’ultimo atto, si passa in una sorta di anticamera accecante, Marcon ha fatto spalancare la grande apertura che dà sulla peculiare torre di Maurice Nio, per poi addentrarsi nell’antro più buio dove è proiettato Dolle, film del 2023.
Si entra così nella tana borghese di una famiglia di talpe, impersonificate da degli animatronici appositamente realizzati e sintonizzati sul suono, registrato prima delle immagini, come fossero in playback. La scena si svolge al buio e vengono inquadrati due genitori talpa alle prese con una serie infinita di calcoli che sembrano ripetersi – anche se è quasi impossibile stabilire se sia davvero così – senza tornare mai. Nel frattempo i due figli dormono nella stanza accanto.
Questo video ha in sé qualcosa di ironico, nelle voci di padre e madre che si ripetono numeri l’un l’altro con intonazioni diverse, ma anche drammatico perché sembrano cimentarsi in un’impresa che non potrà mai portarli ad alcun esito certo – un po’ come la vita – in balia di un’infinità d’imprevisti che potrebbero vanificare tutto in un istante: un figlio che tossisce e potrebbe svegliarsi, qualcuno che passa sopra alla tana facendo tremare il soffitto. La narrazione scorre in un loop, questa volta strutturato in modo da far perdere le coordinate temporali, a causa di minime variazioni sul tema, si rimane confusi al punto da vedersi impedita la possibilità di capire quando il filmato riparte. Eppure, nonostante l’apparente noia del mantra dei numeri letti da due animali ciechi, non si riesce a schiodarsi da davanti allo schermo.

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