Dieci giornalisti palestinesi nelle carceri israeliane
Libertà di stampa Lo Stato ebraico si autoproclama l'unica democrazia del Medio oriente ma sbatte in prigione, spesso senza processo, i giornalisti sotto occupazione per una presunta "istigazione alla violenza". Gli ultimi Omar Nazzal e Hassan Safadi.
Libertà di stampa Lo Stato ebraico si autoproclama l'unica democrazia del Medio oriente ma sbatte in prigione, spesso senza processo, i giornalisti sotto occupazione per una presunta "istigazione alla violenza". Gli ultimi Omar Nazzal e Hassan Safadi.
Si chiamano Omar Nazzal e Hassan Safadi, sono due giornalisti palestinesi ed entrambi sono stati arrestati da Israele mentre passavano il confine al ponte di Allenby, tra la Cisgiordania e la Giordania. Il primo lo scorso 23 aprile. Il secondo il primo maggio. I giudici militari israeliani hanno deciso che Nazzal rimarrà in “detenzione amministrativa”, quindi senza processo, per quattro mesi. Al giornalista viene contestata la direzione di “Palestine Today”, una stazione televisiva chiusa di recente dall’esercito. Lo Shin Bet, il servizio di sicurezza israeliano, però non ha prodotto prove di “reati” compiuti da Nazzal. A Safadi invece è stata estesa la custodia cautelare per altri sette giorni. Poi potrebbe scattare il rinvio a giudizio.
Israele ha arrestato 19 giornalisti palestinesi da quando è iniziata, lo scorso ottobre, l’Intifada di Gerusalemme. Dieci sono ancora dietro le sbarre, sei dei quali senza processo. Nel giorno internazionale a sostegno della libertà di stampa, questi numeri a prima vista potrebbero apparire marginali di fronte agli abusi, alle violenze sistematiche che subiscono i giornalisti in diversi Paesi della regione. Tuttavia a differenza di questi Paesi, Israele si autoproclama l’unica democrazia del Medio Oriente, come lo stesso premier Netanyahu ama ripetere ad ogni occasione. E quanto subiscono i reporter palestinesi quindi è molto grave. I responsabili della sicurezza affermano che quei giornalisti sono stati arrestati non in relazione al loro lavoro bensì perchè coinvolti in “attività illegali”.
Se le cose stanno davvero così, perchè tanti di questi giornalisti sono in “detenzione amministrativa”? Se avessero commesso dei reati, come afferma lo Shin Bet, verrebbero processati. Se ciò non accade vuol dire che contro di loro non c’è nulla. Un caso noto è quello di Mohammed al Qiq, corrispondente di una tv saudita, arrestato a fine novembre e mai processato. Nonostante un lungo sciopero della fame, che poteva costargli la vita, al Qiq non è riuscito ad ottenere la scarcerazione immediata e lascerà la sua cella questo mese, al termine dell’intero periodo di detenzione amministrativa deciso dai giudici in precedenza. Contro di lui non è stata mai presentata un’accusa specifica.
«Israele sostiene che ciò accade (da quando è cominciata l’Intifada, ndr) è dovuto all’istigazione dei mezzi d’informazione palestinesi e non a causa dell’occupazione militare e delle ingiustizie», spiega Mohammed Khalifa del ministero dell’ informazione dell’Anp, «siamo davanti al tentativo di trasformare tutti i giornalisti palestinesi in istigatori e al desidero di danneggiare coloro che portano la nostra vicenda all’attenzione locale o internazionale». Dietro alle sbarre c’è anche una giornalista, Sameh Dweik, arrestata il 6 aprile con l’accusa di istigazione alla violenza sulla sua pagina di Facebook. Stessa accusa per un free lance di Gerusalemme, Samer Abu Aisha, arrestato a gennaio per i suoi post sui social.
Da Ramallah l’Autorità Nazionale Palestinese denuncia il comportamento di Israele nei confronti della stampa sotto occupazione ma i suoi servizi di sicurezza sino ad oggi hanno arrestato non pochi giornalisti e blogger palestinesi che avevano criticato il governo e il presidente Abu Mazen. Lo stesso ha fatto Hamas a Gaza contro le voci troppo critiche.
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