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Didone, Selene, Marianna e Metastasio

Divano La rubrica settimanale di arte e società. A cura di Alberto Olivetti
Pubblicato 6 mesi faEdizione del 24 maggio 2024

Nel 1724 Pietro Metastasio tocca il suo ventiseiesimo anno. Da tre anni almeno ha lasciato Roma per Napoli, dove si impiega nello studio legale del giureconsulto Castagnola. Si legge, in una lettera della vecchiaia scritta alla Principessa di Belmonte nel gennaio 1780 (Metastasio morirà due anni dopo): «Non mi è incognito il procelloso mare del foro Partenopeo: me ne scoprì i pericolosi scogli che nasconde, ed i venti che lo sconvolgono il chiarissimo prima Avvocato, e poi Consiglier Castagnola, che m’insegnava a reggermi su quelle acque, nelle quali io disegnava allora di rendermi esperto».

Ma non sarà quella dell’uomo di legge la sua professione. Il talento per la poesia che si era manifestato in lui fanciullo, e aveva stupito chi ne ascoltava i versi improvvisati, e gli studi delle lettere antiche e moderne che fino ai vent’anni coltivò sotto la assidua e severa guida di Gian Vincenzo Gravina, questa sua naturale disposizione, ebbe presto il sopravvento. Del resto, quando giunge a Napoli la nomea di verseggiatore lo circonda e a Napoli, tra il 1721 e il 1723, licenzia l’Endimione, gli Orti Esperidi, la Galatea e l’Angelica, opere musicate da maestri assai reputati all’epoca nei teatri di Napoli, il Sarro, il Porpora, il Comito, che assicurano al Metastasio i primi riconoscimenti.

Acclamata interprete di quei quattro drammi in musica è, prima attrice nelle parti di Diana e di Venere, di Galatea e di Angelica, una cantante italiana all’apice della sua grande fama: Marianna Bulgarelli nota come la ‘Romanina’. «Questa immortal donna» scrive Carlo Cristini nella Vita dell’Abate Pietro Metastasio premessa all’edizione delle Opere stampata a Nizza nel 1785, «che contò fra le più reputate cantatrici di que’ tempi forse non era più allora sul fiore degli anni suoi, tuttavia i suoi pregi le diedero diritto agli affetti del Metastasio, e valsero a cattivarle la sua benevolenza». Marianna ha trentasette anni, Pietro ventitré. Ha scritto Benedetto Croce ne I teatri di Napoli. Dal Rinascimento alla fine del secolo decimottavo: «la cantata degli Orti Esperidi fu, per quel che sembra, il principio della relazione che si stabilì, tra di materna protezione e di amore, della cantante Bulgarelli col giovane Metastasio. Il quale, messe da parte le pandette e i codici, formò una sola famiglia con la Marianna e col suo bravo marito, il signor Domenico; ed entrò a vivere nella società, che meglio si confaceva alle sue tendenze naturali, dei poeti maestri di cappella e virtuosi di musica».

Prende avvio un sodalizio che non solo si stringe sentimentalmente, ma cresce fin da principio nella collaborazione artistica. Marianna non è solo l’ispiratrice e l’interprete ideale che Metastasio pensa pei suoi personaggi. Al primo indiscusso capolavoro di Metastasio, la Didone abbandonata la ‘Romanina’ reca un decisivo contributo nella delineazione dei caratteri di Didone e di Selene, ovvero nella rappresentazione dell’animo femminile mosso dalle passioni dell’amore e della gelosia e dell’ogoglio. Dice Cristini che Metastasio «vuol copiar la natura dal suo originale» e si affida a Marianna: «agli avvisi di lei si conforma, cancella, cambia, aggiugne: a lei sola si adatta quanto alle parti, cui essa dee eseguire: né mai è sì contento come quando ha felicemente immaginato, ed espresso una situazione, in cui prevede che la cara Marianna farà pompa della sua abilità». E Saverio Mattei, letterato e musicofilo: «La ‘Romanina’ era grande attrice, e lo stesso Metastasio apprendea da lei le più belle situazioni di scena, com’è quella della gelosia nelle scene del secondo atto, che fu tutta invenzione della cantatrice».

La Didone fu rappresentata per la prima volta con musica di Domenico Sarro al teatro San Bartolommeo di Napoli nel carnevale del 1724. Fu un clamoroso successo. Francesco De Sanctis lo riconosce un capolavoro «tutto caldo», forse alludendo alla presenza di Marianna, «della vita che era nell’autore e intorno a lui». E Croce non esita a considerare questo dramma «rapido, chiaro, dove tutto è detto con mirabile facilità ed eleganza, la prima data luminosa nella storia letteraria del melodramma italiano e nell’opera del Metastasio».

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