Diaz, la «vergogna» scoperta
L'ex capo della polizia Il presidente del Pd Matteo Orfini: «Vergognoso che De Gennaro sia presidente di Finmeccanica». Ma il grosso del partito non lo segue e Renzi tace
L'ex capo della polizia Il presidente del Pd Matteo Orfini: «Vergognoso che De Gennaro sia presidente di Finmeccanica». Ma il grosso del partito non lo segue e Renzi tace
Matteo Orfini, presidente del Pd, affida la sua bomba al solito tweet mattutino: «Lo dissi quando fu nominato e lo ripeto oggi dopo la sentenza. Trovo vergognoso che De Gennaro sia presidente di Finmeccanica». Sel e M5S colgono la palla al balzo, rilanciano. Prima Fratoianni, coordinatore di Sel, che chiede a Orfini «qualcosa in più di un semplice tweet»: una pressione su Renzi perché metta alla porta il presidente di Finmeccanica nominato da Letta ma da lui confermato. Poi Morra, senatore M5S, sintetico: «De Gennaro lasci Finmeccanica». Il carico più pesante era arrivato prima ancora dell’affondo di Orfini: un editoriale del Corriere della Sera, che, «con tutto il rispetto per l’ex capo della polizia» si chiedeva se la sua nomina sia «stata opportuna».
Domande inquietanti. Non per il grosso del Pd, però, da lì, i commenti sull’attacco di Orfini arrivano col contagocce. Laura Puppato appoggia il presidente. Luigi Manconi chiede che i responsabili delle torture «traggano le conseguenze». Scalfarotto, renziano doc, si rimette alla coscienza di De Gennaro: evitare parole tanto pilatesche, con la pasqua ancora fresca, gli avrebbe fatto onore.
Il problema è che nel Pd esistono due partiti, altrettanto agguerriti: uno pronto a difendere fino all’ultimo l’ex capo della polizia, l’altro che invece lo vorrebbe defenestrare. Nessuno, tranne appunto Orfini, se la sente di turbare gli equilibri uscendo allo scoperto. Così tutti tacciono. Come tace Renzi, che non fa parte di nessuna delle due fazioni e aspetta di vedere cosa gli convenga di più fare.
Nemmeno una parola sul presidente di Finmeccanica, ma sull’argomento incandescente il premier trova modo di intervenire rispondendo a un tweet di Luca Casarini rivolto direttamente a lui: «Non dici nulla. Come mai?». A stretto giro il tweet di risposta: «Quello che dobbiamo dire lo dobbiamo dire in Parlamento col reato di tortura». Parole sante, pur se dovute. In fondo l’introduzione del reato di tortura è una specifica e ultimativa richiesta dalla Corte di Strasburgo, ribadita ieri dal presidente della Cassazione Santacroce, che insiste perché «il ddl sia approvato subito».
Già, perché quella «risposta» che Renzi orgogliosamente sventola, l’introduzione del reato di tortura, il Parlamento non la sta affatto dando. Non potendo bocciare una legge fortemente voluta dall’Europa, si è limitato a infognarla, come usa in questi casi. Evita da mesi di votarla. Proprio come sta facendo con l’introduzione dei numeri identificativi per la polizia in servizio d’ordine pubblico, altra precisa richiesta europea. Il ddl c’è, presentato dal senatore di Sel Peppe De Cristofaro. Ma la discussione slitta a ripetizione.
Sono due i patemi che frenano il governo e il Pd nei fatti concreti: le divisioni interne al partito, dove esiste una robusta area schierata sempre e comunque con le forze dell’ordine, ma soprattutto la paura che sia la destra a cavalcare una difesa della polizia che incontra i favori di una parte consistente dell’opinione pubblica. Se n’è avuto un assaggio, tra i più disgustosi, ieri, con Fi, Ncd. Lega più i miseri resti di Scelta civica preoccupati non dal fatto che in Italia si sia torturato come nell’Argentina dei colonnelli ma dal rischio che dette torture siano «strumentalizzate». E’ un coro di hooligans scriteriati , che rende il Parlamento identico alle peggiori e più selvagge curve degli stadi. C’è chi, come la Biancofiore, forzista, vuole la maglietta «Je suis polizia». Chi come Savino, altro azzurro, ricorda che «Genova fu straziata dai teppisti». Il più abietto è l’europarlamentare leghista Buonanno: «Carlo Giuliani? Peggio per lui. Se l’è andata a cercare». Roba che al confronto il noto striscione dei tifosi romanisti era un modello di garbo e buon gusto.
Renzi aspetta e osserva. Se nei prossimi giorni l’opinione pubblica e i giornali che contano chiederanno la testa di De Gennaro gliela concederà senza soffrire troppo e anzi cogliendo l’occasione per piazzare in una poltrona fondamentale qualche suo fedelissimo. Se i sondaggi saranno a favore dell’ex capo della polizia eviterà di spaccare il Pd e rinvierà. Ma non di troppo.
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