Diavoli e vertigini, l’esplosiva Fire! Orchestra
Festival Chiusura con sold out al Padova Jazz Festival per la prima mondiale del nuovo progetto dell'ensemble guidato da Mats Gustafsson
Festival Chiusura con sold out al Padova Jazz Festival per la prima mondiale del nuovo progetto dell'ensemble guidato da Mats Gustafsson
Chiusura con sold out al Padova Jazz Festival per la prima mondiale (prossima tappa in Colombia) di Community Based Activity, nuovo progetto della Fire! Orchestra, ensemble ad organico variabile diretto dal sassofonista svedese Mats Gustaffson. Anteprima di Opera Libera, rassegna preparata dal Centro d’Arte su commissione dell’Ateneo patavino, che nel 2022 festeggerà gli ottocento anni, il concerto, prodotto in collaborazione con Area Sismica, è frutto di una residenza romagnola e il primo di due live: sabato al Teatro Verdi nel capoluogo veneto, domenica nell’appena riaperto Teatro Dragoni di Meldola, nel forlivese. L’idea è quella di gettare i semi per una comunità che cresce: ecco allora un repertorio allestito con musicisti locali che si affiancano al nucleo (più o meno) stabile dell’orchestra: quindici strumentisti ad interpretare i brani torridi e enfatici già ascoltati sui dischi pubblicati dalla norvegese Rune Grammofon. L’intenzione del progetto è sostanzialmente rock e si basa su una ricetta semplice ed efficace, anche un po’ piaciona: un riff ribadito ad oltranza, un groove -magari dispari- su cui far fiorire parti scritte e (non troppo) libere invenzioni, variando tra languidi accenti soul pronunciati con piglio punk, ostinati metallici, trascinanti ipnosi afro sporcate di fango noise e inarrestabili cadenze kraut.
IL SIPARIO si apre su una diradata giungla percussiva; facendoci spazio nella selva, scoviamo un inebriante fiore grondante ipnotiche fragranze jazz-rock; poi, in un flusso continuo, di tappa in tappa, con meno spazio di quanto ci saremmo aspettati per l’imprevisto e l’estro del nutrito stuolo di ottimi musicisti presenti, tra sprazzi di jazz corale e lapilli di invenzioni a pieni polmoni, si arriva al bis: il motore della band è il basso roccioso e puntuale di Johan Berthling, che disegna un altro panzer a carburante hardcore; è in quelle musiche il background di Gustaffson, come confermato in una recente intervista per il sito italiano The New Noise. Pubblico entusiasta; chi scrive è poco convinto. Le cose vanno molto meglio in Romagna il giorno dopo, in un ambiente più raccolto e con l’ensemble più sciolto e ispirato: variazioni sul tema e più spazio per l’inatteso. Otto fiati (sugli scudi l’eccellente trombonista Mats Äleklint, gli zornismi di Mette Rasmussen al contralto e la portoghese Susana Santos Silva alla tromba), due batterie, tastiere, elettronica assortita (Valeria Sturba, anche a voce e giocattoli, che ha avuto spazio a sufficienza, il mago del suono Elio Martusciello sottoutilizzato rispetto a quanto avrebbe potuto regalarci). Poi ancora due chitarre (a svettare la pronuncia inconfondibile di Stefano Pilia), per un’orchestra che ha acceso il fuoco nel pubblico col suo fare coinvolgente (talvolta ammiccante) e torrenziale. Noi ci aspettavamo un approccio comunque più libero e perturbante e più attenzione alla vertigine e ai dettagli, dove, lo sappiamo, si nasconde il diavolo e fanno nido dunque anche le meraviglie.
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