La vita da comunista di nonno Tony raccontata ai nipoti americani
Scaffale «I miei anni a Mosca» di Antonio Rubbi, edito da Futura. Mettendo al centro se stesso, nella relazione con i luoghi e i protagonisti che via via popolano vividamente le pagine del libro, descrive non una scuola di partito, ma un’epoca straordinaria, di cimenti e grandi passioni sullo sfondo di una metropoli cosmopolita e vivace
Scaffale «I miei anni a Mosca» di Antonio Rubbi, edito da Futura. Mettendo al centro se stesso, nella relazione con i luoghi e i protagonisti che via via popolano vividamente le pagine del libro, descrive non una scuola di partito, ma un’epoca straordinaria, di cimenti e grandi passioni sullo sfondo di una metropoli cosmopolita e vivace
Antonio si firma Tony, un dettaglio che racconta una trasformazione epocale. Antonio è Antonio Rubbi, storico dirigente del Pci, a lungo tra i massimi responsabili a Botteghe oscure delle relazioni internazionali. E Tony è lui, oggi un nonno «americano», nonno Tony per Giacomo e Giulia, i nipoti che vivono oltreoceano, una distanza incommensurabile dalla realtà della fine anni Cinquanta, inizi anni Sessanta. E sì, la storia è andata in modo molto diverso da come aveva sognato Antonio in quegli anni a Mosca.
UN’ESPERIENZA, ormai remota, quel lungo soggiorno moscovita in piena era kruscioviana, lui ancora molto giovane, figlio di famiglia di braccianti nel ferrarese, militante comunista. Una scelta che potrebbe finire per gettare un’ombra sulla sua vita, agli occhi dei nipoti. Quando fu vero il contrario. Una scelta di cui andar fieri. Di qui il bisogno di raccontarla. «Capisco che l’idea di avere un ‘nonno comunista’ possa creare allarme e imbarazzo per voi che vivete negli Usa», scrive ai nipoti americani. E aggiunge: «Ma credetemi, essere comunisti, in Italia e in Europa, ha voluto dire lottare contro il nazifascismo con rischio della propria vita, poi costruire una nuova democrazia repubblicana e scrivere una delle più belle costituzioni. Difendere i poveri, gli emarginati, i lavoratori. Lottare per rinnovare e riformare l’Italia negli anni della guerra fredda».
È il preambolo de I miei anni a Mosca. Memorie di un comunista italiano (1958-1964), un libro molto bello (Futura, pp. 304, euro 24), una chiave narrativa in prima persona – il nonno che si rivolge ai nipoti lontani – che coinvolge e appassiona, l’opposto di una pedante e petulante ricostruzione di un’esperienza in una scuola di partito, per giunta del Pcus, e, successivamente, all’Accademia di scienze sociali.
TEMA che, trattato nella forma di un saggio o di un’arida memoria, potrebbe tutt’al più interessare uno storico del Pci e dei suoi rapporti con Mosca. Mettendo al centro se stesso, nella relazione con i luoghi e i protagonisti che via via popolano vividamente le pagine del libro, Rubbi descrive, non una scuola di partito, ma un’epoca straordinaria, di cimenti e grandi passioni, sullo sfondo di una metropoli cosmopolita e vivace, qual è la Mosca di quegli anni, lontana dai cliché di una realtà urbana grigia e oppressiva, una grande e bella città in fermento, attraversata da una ventata di rinnovamento, come quella suscitata dall’avvento di Nikita Chrušcëv dopo gli anni terribili dello stalinismo.
RESTERÀ DELUSO chi s’aspetti il racconto di un mondo abitato da future spie, indottrinate dal Grande fratello sovietico. Personaggi del genere, non se ne vedono proprio, né tra i prof. né tra gli allievi della Scuola superiore di partito e dell’Accademia di scienze sociali. Né lo fanno pensare le materie dei corsi, ben descritte nel libro, anche quando sono volte a fissare una disciplina ideologica. A cui peraltro gli allievi italiani – che anche nella veste di militanti comunisti, e a quei tempi, «si fanno sempre riconoscere» come italiani – sono refrattari.
Insomma, è soprattutto un’esperienza di vita, tra compagni, più d’internazionalismo che d’indottrinamento, quella del giovane Rubbi, in anni in cui, con tutti i distinguo, Mosca è comunque un saldo riferimento e credibile alternativa al modello capitalistico. Ed è un’esperienza vitale, anche perché i corsi sono intervallati da incontri con personaggi speciali della storia comunista e delle lotte di liberazione, come Che Guevara, Dolores Ibarruri, Luigi Longo, Carlos Prestes, Haydit, e culminano con la «pratica» finale, visite in realtà della vita produttiva e sociale sovietica. Che Rubbi descrive restituendoci la grandiosità di un paese sconfinato, illimitato anche in quanto a varietà di culture e di specificità territoriali, un gigante intento in uno sforzo mastodontico di trasformazione di se stesso, tra successi, non tanti, e tanti insuccessi. E poi le vacanze sul mar Nero. I soggiorni nelle dacie.
UNA VITA MOVIMENTATA e anche allegra, non certo quella di un burocrate di partito in pectore, come si potrebbe immaginare una vicenda ambientata in una scuola di partito in quegli anni. Anche perché sullo sfondo c’è la storia d’amore con Vera. Antonio imparerà perfettamente il russo, e Vera l’italiano. Per costruire una lunga vita insieme. Fino a diventare nonno Tony e nonna Vera.
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