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Diana e Atteone nel Parco della Reggia di Caserta

Divano La rubrica settimanale a cura di Alberto Olivetti
Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 7 ottobre 2022

Il profilo del monte Tifata corona in lontananza la piana ove sorge la città di Caserta. «Sul fianco occidentale del monte Tifata in antico era il tempio di Diana Tifatina con un bosco sacro e un circo». Così scrive l’architetto Luigi Vanvitelli nel prezioso volume che raccoglie i suoi Disegni del Reale Palazzo di Caserta, offerto nel 1756 al re delle Due Sicilie Carlo ed alla regina Maria Amalia.

Vanvitelli precisa come tutta l’ampia zona scelta dai sovrani per accogliere la nuova residenza regale (la prima pietra fu posta il 20 gennaio del 1752, giorno natale del re, ed i lavori ebbero inizio il successivo 19 giugno e durarono fino al 1774, diretti dopo la morte di Vanvitelli, dal figlio Carlo) fosse a Diana «consecrata, per essere, come è credibile, il boscoso monte copiosamente alle cacce favorevole».

La passione per la caccia era assai coltivata da Carlo e da Maria Amalia e in certe lettere che ci sono conservate Carlo non manca di vantare le prodezze venatorie sue e della sposa. Non sorprende allora la scelta di dedicare a Diana, la dea della caccia, una fontana collocata nel punto culminante nel quale vengono a confluire e a compiersi, non solo idealmente, i percorsi del grande Parco.

Il gioco d’insieme di quei magnifici e confortevoli tragitti è bene illustrato da Vanvitelli nelle tavole XIII e XIV di Disegni, dove si mostra l’amplissimo parco «in lontano», ovvero in prospettiva e a volo d’uccello. In virtù della sua posizione il complesso della Fontana di Diana e Atteone svolge una funzione duplice: mentre segna il margine estremo del Parco, si offre allo tesso tempo come l’affaccio su la propaggine della natura incolta che si estende al di là dei giardini, dei recinti coltivati, delle soste abbellite di statue disposte a misurate distanze.

La fontana è alimentata dalla gran cascata che precipita dall’alto d’una proda scoscesa coperta da una folta vegetazione che vuole apparire spontanea, selvatica. Al termine d’una lunga passeggiata, l’illusione è d’esser giunti alle soglie d’un bosco e da qui, quasi inaspettatamente, chiamati a partecipare alla storia di Atteone e Diana. Turbati e sgomenti, assistiamo al suo concitato, finale svolgimento.

Si può facilmente constatare come i due gruppi scultorei – realizzati con aiuti da Paolo Persico (Diana, Atteone), Pietro Solari (i cani), Angelo Brunelli (le ninfe) – rispondano ad un esplicito intento teatrale che mira a collocare entro il fondale silvestre una azione scenica composta di due tableaux vivants.
Vanvitelli, nel progettare la scena, si attiene alla narrazione del mito che si legge in Ovidio nel terzo libro delle Metamorfosi.

Racconta Ovidio che in fondo ad un fitto e rigoglioso bosco, in un luogo incontaminato, sgorga una limpida fonte: «qui veniva, quand’era stanca di cacciare, la dea delle selve per rinfrescare il suo corpo di vergine in acque sorgive», attorniata e accudita dalle ninfe. Il giovane cacciatore Atteone, «prima di riprendere la caccia, vagando a caso per quel bosco che non conosceva», scorge Diana al bagno sorprendendola nella sua immacolata nudità. Offesa, narra Ovidio, la dea «attinse l’acqua che aveva ai piedi e la gettò in faccia all’uomo», trasformandolo in cervo. Atteone fugge, ma lo avvista la muta feroce dei suoi cani che rincorrono la preda e «sbranano il loro padrone mutato nell’aspetto di un cervo».

Ribadiamo dunque il significato che riveste la vasca di Diana e Atteone che ha ricevuto la sua collocazione in questo estremo luogo del Parco. È facile constatare come qui Vanvitelli metta in contatto la natura disegnata che egli ha concepito misurando e ordinando gli spazi dei giardini annessi alla Reggia (e che della residenza regale divengono la naturale estensione a cielo aperto), con la natura spontanea di quella collina impervia del Monte Briano, con la sua vegetazione e le sue acque. E la crudele antica storia di Atteone che ne ha violato il limite sacro, è richiamata a noi come un vivo monito: un giusto confine che corona il fastigio del Parco e della Reggia casertana di Carlo, re stimato assai prudente e saggio, e della regina Maria Amalia.

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