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Dialoghi planetari per sovvertire annose relazioni di potere

Dialoghi planetari per sovvertire annose relazioni di potereUna illustrazione di Ikon Images foto Ap

SCAFFALE «Il pensiero decoloniale», un volume di Salvo Torre pubblicato per Utet

Pubblicato circa un mese faEdizione del 20 agosto 2024

La decolonizzazione è un processo che rivendica giustizia per tutti. Si può sinterizzare in questo modo la proposta di Salvo Torre nel suo libro Il pensiero decoloniale, pubblicato per Utet (pp. 144, euro 15). L’autore, professore di geografia presso l’Università di Catania, analizza origini, sviluppi e motivazioni delle proposte di critica alla colonialità, cioè all’organizzazione gerarchica delle relazioni socioecologiche mondiali, ponendo in evidenza la necessità di mettere in discussione i significati politici e culturali della modernità. Da parte europea, quest’ultima è stata troppo spesso esaltata come il passaggio lineare e progressivo dall’oscurità alla ragione, dal caos al buon governo, dall’assolutismo alla democrazia, dimenticando che, mentre l’Europa costruiva gli imperi moderni, il resto del mondo veniva assoggettato, divenendo colonia. E dimenticando tutto il suo portato di schiavitù, violenza militare e miseria per le aree e popolazioni colonizzate e razzializzate, fino a considerare quasi come un’eccezione i campi di concentramento tedeschi (luoghi di sterminio ma anche di messa al lavoro schiavistico di «parecchi milioni di persone», come ha ricordato Primo Levi in I sommersi e i salvati) e le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.

IL TESTO DI TORRE, al contrario, si concentra proprio sul «divenire colonia del mondo», evidenziando come esso abbia alimentato «sei secoli di conflitti» – a partire dalla conquista portoghese di Ceuta nel 1415 – ma anche una molteplicità di elaborazioni intellettuali e politiche orientate a «ripensare la modernità», con l’obiettivo radicale di andare «oltre la colonia» e favorire processi di «liberazione».
Il libro è al tempo stesso una presentazione del pensiero decoloniale, utile anche per chi vuole introdursi a questo ambito di discussione politica e culturale, e una proposta di sua interpretazione, volta a cercarne i nessi in diversi ambiti territoriali, non limitandosi all’America Latina: contesto al quale è spesso associata in modo esclusivo l’elaborazione decoloniale. Come scrive Torre, «le analisi a cui faccio riferimento partono dal punto di vista di chi ha subito la colonizzazione, seguono la formazione di un pensiero che mira esplicitamente a sovvertire alcune relazioni di potere e a liberare comunità che pagano ancora i costi del progetto coloniale».

Non a caso, un paragrafo del testo si intitola «un dialogo planetario», nel quale vengono messe in comunicazione le elaborazioni dello studioso palestinese Edward Said, del peruviano Anibal Quijano, dell’indiano Ranajit Guha, del poeta e drammaturgo kikuyu Ngugi Wa Thiong ‘O, dell’intellettuale indiana Gayatri Spivak, della sociologa e femminista aymara Silvia Rivera Cusicanqui e del Taller de Historia Oral Andina che ha contribuito a fondare. In questo modo si riesce a evidenziare la portata globale di questo pensiero, la cui genealogia è essa stessa plurale, collegata ai movimenti anticoloniali e per l’indipendenza nazionale, ma anche alle resistenze alla riduzione in schiavitù attive sin dalle origini nel sistema della piantagione organizzato dai nascenti imperi per arricchire la loro aristocrazia insaziabile.

COERENTEMENTE, Salvo Torre scrive che «uno dei punti di contatto dei diversi pensieri di opposizione che emergono nel XX secolo è proprio la riflessione sul modo in cui i colonizzatori hanno ridefinito e imposto un modo di vedere la Terra, la sua immagine, il suo senso».
La colonia è stato il grande nemico della maggior parte dei popoli del pianeta lungo l’intera modernità e, per una parte di essi, continua a esserlo, come risulta evidente, in modo palese, per la popolazione palestinese della striscia di Gaza e della Cisgiordania occupata da Israele e dai suoi coloni.
L’opposizione alla colonia si è alimentata e continua ad alimentarsi anche del pensiero decoloniale e della sua ricchezza plurale, dalla filosofia della liberazione al pensiero di frontiera, dai femminismi decoloniali alle ecologie politiche (come mostra anche l’intervista con Enrique Leff che chiude il libro): un insieme di contributi che non solo ha certificato, ma ha anche contribuito alla crisi del sistema coloniale e della centralità storica europea.

QUESTO CONTRIBUTO ATTIVO carica di grande responsabilità intellettuale e politica il pensiero decoloniale odierno, che, come ha analizzato Achille Mbembe nel libro Critica della ragione negra, deve confrontarsi con il fatto che «l’Europa non è più il baricentro del mondo».
Di fronte a questo dato epocale, che costituisce l’esperienza fondamentale del nostro tempo, si aprono nuove possibilità di pensiero critico, anche se questo significa «affrontare nuovi pericoli», soprattutto in un mondo che alla fine della centralità europea sta rispondendo con la moltiplicazione delle frontiere e delle guerre.

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