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Dialoghi impossibili. Kafka e Ovidio

Dialoghi  impossibili.  Kafka e Ovidio

Fulmini e saette Un confronto in due tempi, passeggiando per Roma...

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 5 dicembre 2020

I

A Roma, in via Merulana, quella del libro barocco ‘Quer pasticciaccio brutto’ e del film surrealista ‘Il Negozio’, c’è anche la libreria mitologica ‘La Fenice’. Ieri l’altro ci sono entrato – mascherato – e vi ho trovato Kafka e Ovidio, entrambi mascherati anche se sono morti e non possono morire più.
Li ho individuati a colpo d’occhio perché Kafka, magrissimo, teneva in mano il poema mitologico «Le metamorfosi» di Ovidio, e questo, cicciottello, da parte sua il racconto surreale «La Metamorfosi» di quello – e si guardavano stupefatti e divertiti.

Facendo il vago mi sono avvicinato un po’ e ho colto il seguente breve dialogo.
O: Salve. Ho apprezzato molto la sua Metamorfosi.
K: Dank. Senza le sue Metamorfosi la mia non sarebbe mai nata.
O: Mi ha dato molto da pensare il suo racconto. Mi sono chiesto non cosa volesse dire veramente scrivendolo, perché questo un vero scrittore non lo sa mai esaurientemente, ma cosa lo ha innescato.
K: La mia malattia.
O: La tubercolosi? Ma le è stata diagnosticata nel 1917… il racconto lo ha pubblicato nel 1915…
K: La diagnosi medica è una cosa, altra cosa è la scoperta che gli altri ti guardano in una maniera nuova, strana, vagamente timorosa e guardinga… mantenendo la distanza sociale… Accadde dieci anni prima della sua scrittura.
O: Lo sguardo degli altri… certo… Lei ha curato da sempre il corpo, poca carne, niente alcool, digiuni, nuoto, ginnastica… – pensi che l’ho riconosciuto dalla leggendaria magrezza, prima ancora di intravvedere nelle sue mani le mie Metamorfosi.
K: Il corpo… i suoi organi intelligenti… A vent’anni ho orecchiato una trattativa tra il mio cervello e i miei polmoni. ‘Alleggeritemi del peso delle preoccupazioni che mi levano il sonno, così andremo avanti ancora un pochino – disse lui – La mia vita è tutta un dormiveglia…’ E i polmoni risposero ammalandosi.

O: Continuiamo i nostri dialoghi fuori, alla fuggevole luce di questa ottobrata romana?
K: Volentieri. Vorrei chiederle qualcosa sul suo racconto «Ciparisso e il Cervo». Prego, La seguo.
Escono, poi esco anch’io, li vedo risalire via Merulana fino a Panella, il gran fornaio che fa i pani e i biscotti di fianco a ciò che resta degli Orti di Mecenate, sedersi a un tavolo. Vado ad occupare un tavolo a loro vicino.


II

Ovidio e Kafka continuano a dialogare sui libri loro intorno alle metamorfosi di umani e divini, Ovidio, naturalmente offrendo le consumazioni – in qualità di membro del circolo letterario di Mecenate – ha ordinato un cappuccino (quella bevanda che non sai dove finisce il latte e comincia il caffè), e Kafka una spremuta di mapo (quella bevanda che non sai dove finisce il mandarino e comincia il pompelmo).
Nella libreria, Ovidio aveva chiesto a Kafka cosa lo avesse mosso a scrivere ‘La Metamorfosi’, ora al bar Kafka ricambia la cortesia chiedendo a Ovidio del racconto ‘Ciparisso e il Cervo’.
K: Mi sono spesso chiesto non cosa volesse dire veramente scrivendolo, perché questo un vero scrittore non lo sa mai esaurientemente, ma cosa lo ha innescato.
O: Il comportamento di un amico siciliano, uomo amorosamente eccessivo.
K: Eccessivo… Come Ciparisso?
O: Proprio.
K: ‘Eccessivo’ in italiano equivale al latino ‘imprudens’? Lei scrive ‘puer imprudens’ nel suo racconto, per definire Ciparisso. Ma ‘imprudens’ non significa propriamente ‘colui che non prevede’? Ciparisso uccide il Cervo amatissimo perché non ha saputo prevedere che il giavellotto scagliato da lui stesso lo avrebbe ucciso?
O: Ciparisso desiderava ucciderlo.
K: La morte del Cervo non è stata accidentale?
O: No. Ciparisso non lo sapeva, ma lo sentiva, che doveva ucciderlo. Perché lo amava troppo. Si può sopravvivere al difetto d’amore, non all’eccesso d’amore. E l’amore che Ciparisso provava per il Cervo lo trascinava sempre più nel vortice d’una insostenibile eccitazione.
K: E perché proprio nell’albero cipresso Ciparisso sarà trasformato?
O: Il cipresso è sempreverde ed emana il fetore della morte, richiama i vivi e lascia dormire i morti: le sue radici scendendo a fuso nella terra non invadono le fosse cimiteriali, e la resina sul suo fusto assume la forma di goccioline del tutto simili a lacrime. Lacrime d’amore.
K: Prosit!
O: Prost!

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