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Di Stefano (M5S): riconoscere subito lo Stato di Palestina

Di Stefano (M5S): riconoscere subito lo Stato di Palestina

Intervista Parla il capogruppo in commissione Affari Esteri della Camera, nei giorni scorsi in visita in Israele e Territori occupati assieme a Luigi Di Maio e alla senatrice Ornella Bertorotta: l'Ue svolga un ruolo diverso e più decisivo nel conflitto israelo-palestinese

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 12 luglio 2016
Michele GiorgioGERUSALEMME

Contava di andare anche a Gaza la delegazione del M5S, composta da Luigi Di Maio, dal capogruppo in commissione Affari Esteri della Camera Manlio Di Stefano e dalla senatrice Ornella Bertorotta, che ieri ha terminato la sua visita ufficiale in Israele e Territori occupati. Domenica però Israele ha negato l’autorizzazione. Di ciò e di altri temi centrali della questione israelo-palestinese abbiamo parlato con Manlio Di Stefano.

Quanto era importante per la vostra delegazione andare a Gaza?

Intanto crediamo che sia un diritto (andare a Gaza, ndr). Gaza non è un territorio israeliano. Mi viene da dire che oggi purtroppo non è neanche territorio palestinese, è quasi un territorio internazionale. Nel senso che di fatto è il centro del conflitto israelo-palestinese ed è una zona in cui tutti gli attori internazionali cooperano, sia nello sviluppo dell’area sia per i tentativi di pace. Credevamo che fosse un diritto andare lì e avevamo scelto di non politicizzare la nostra scelta andando con la cooperazione internazionale, con (la Ong) Vento di Terra. Perché a Gaza non volevamo pestare i piedi a nessuno, non volevamo neanche strumentalizzare la situazione di una popolazione che soffre. Il fatto che (Israele) abbia proibito al vice presidente della Camera (Di Maio) di andare con una Ong a vedere un’opera della cooperazione italiana, crediamo non sia un bel messaggio di pace.

Di Maio ha annunciato che se il M5S andrà al governo riconoscerà lo Stato di Palestina.

Non ci illudiamo che basti il riconoscimento dello Stato di Palestina, quello è soltanto un passaggio formale. Però è un passaggio importante, perché nel momento in cui riconosci uno Stato e sei un Paese forte, e l’Italia è importante per l’equilibrio europeo, puoi innescare, con delle politiche mirate, una reazione a catena. Secondo me tanti Paesi oggi non riconoscono lo Stato di Palestina perché hanno paura di fare il primo passo. È importante che l’abbiano fatto la Svezia e il Vaticano perché hanno dato un po’ di slancio. Da lì è nata la discussione in Parlamento (italiano) dove poi fu votata quella presa in giro della doppia mozione, con la maggioranza che votò quella presentata dal Ncd e dal Pd che dicevano cose opposte. Crediamo che oggi riconoscere lo Stato di Palestina sia anche inseribile nella lotta alla instabilità del Medio Oriente.

Quali sono i confini dello Stato di Palestina?

Per noi sono quelli che riconoscono le Nazioni Unite, quelli del 1967, la “green line”.

E Gerusalemme?

È divisa in due, Est e Ovest, è la capitale dei due popoli.

Come giudicate la politica italiana verso Israele e Palestina? Il primo ministro Renzi sembra sempre più schierato sulle posizioni del governo Netanyahu.

Crediamo che Renzi stia barcollando sempre di più e che questo lo porti a cercare alleati un po’ ovunque, dove riesce a raschiare mi vien da dire. Però non vogliamo strumentalizzare e mettere il discorso su questo tema. Il primo passo di responsabilità verso la questione israelo-palestinese è tirarla fuori dalle logiche perverse della politica italiana ed europea. E quindi se riconosciamo il nostro ruolo (dell’Italia, ndr) inserito in un contesto internazionale, così come riconosciamo le Nazioni Unite e l’Unione europea e le loro direttive, così come ci prendiamo quelle legate al sistema bancario e finanziario che non ci piacciono, dobbiamo prenderci anche quelle legate al rispetto dei diritti umani, internazionali e alla politica estera europea. Il nostro faro sono le risoluzioni dell’Onu sulla questione israelo-palestinese, quelle sono e dicono alcune cose. Se Renzi non rispetta quelle cose allora a settembre quando andrà all’Onu a fare il suo discorso dicesse che noi non rispettiamo una parte di ciò che affermano le Nazioni Unite.

Come vedete l’iniziativa francese che inserisce Israele e Palestina nell’ambito di una trattativa multilaterale e non più solo bilaterale?

Senza andare nel dettaglio dell’iniziativa francese credo che la strada giusta sia proprio cambiare gli attori in campo. In Palestina come in Libia e Siria. È chiaro che la politica neanche del bilateralismo ma dei due blocchi (Usa-Russia, ndr) ha fallito da 50 anni a questa parte. Quando al tavolo di una questione secolare si siedono gli attori Russia, Usa, Israele, Palestina e tutti gli amici ormai ideologizzati, è chiaro che davanti c’è già un muro. Allora bisogna dire: l’Europa vuole avere il ruolo di superpotenza che ha come Unione europea? Perché oggi (quel ruolo) lo ha demandato ad attori esterni. L’Europa indicesse una conferenza di pace per la questione israelo-palestinese dove al tavolo c’è l’Ue in quanto tale, assieme a Israele e Palestina. Provasse a dare una soluzione da Vecchio continente, perché siamo più capaci di esportare la pace rispetto ad altri attori che hanno solo garantito l’instabilità. L’iniziativa francese va in quest’ottica in qualche modo e siamo assolutamente favorevoli.

Cosa deve o dovrebbe cambiare della politica italiana rispetto alla questione israelo-palestinese?

Non ci illudiamo che un Paese da solo possa risolvere la questione, per questo parlavo di multilateralismo e del ruolo dell’Ue. Un Paese però può riconoscere subito la Palestina, può spingere all’interno del Consiglio europeo sull’etichettatura (dei prodotti delle colonie israeliane), come è già stato indicato.

Quindi siete favorevoli all’etichettatura diversa per le merci delle colonie ebraiche esportate verso l’Ue?

Assolutamente sì. Se l’Ue, come l’Onu, non riconosce come legali le colonie ha tutto il diritto di sapere se sta importando prodotti che arrivano da località legali o meno. In fondo questa soluzione è comoda anche per lo Stato di Israele perché comunque gli garantisce di esportare il prodotto ma lascia al consumatore la facoltà di sceglierlo o meno.

Come si può far rispettare la legge internazionale in Medio oriente dove oggi prevale la legge del più forte?

C’è un grande problema in seno all’Onu, che non riguarda solo Israele e Palestina. E’ il veto al Consiglio di Sicurezza. Trovo incredibile che un caso simile ad un altro abbia delle risposte differenti in base al Paese protettore di quello che va sanzionato o meno. Per l’annessione della Crimea la Russia è sotto sanzioni dell’Europa. Per la stessa situazione di annessione Israele non affronta alcun tipo di sanzione. C’è una questione di due pesi e due misure. Il primo punto è discutere del veto nel CdS dell’Onu, che rimane lì per una ideologia post guerra mondiale. Da parte sua l’Ue potrebbe decidere di agire sulla diplomazia e chiedere: Israele ti senti in un contesto internazionale, vuoi dialogare con noi alla pari? Allora non puoi fare certe cose, altrimenti con noi non dialoghi.

Le sanzioni?

Io penso che le sanzioni siano sempre l’ultima cosa da fare perchè nel 99% dei casi sanzioni ed embarghi colpiscono i cittadini e mai i governi. Voglio ribadire che il M5S non ha alcun problema con i cittadini israeliani, sicuramente non con gli ebrei ma con il governo che fa delle scelte che non rispettano il diritto internazionale sì. Le sanzioni in questo momento le escluderei. Però quando inizi a mettere alcuni Paesi di fronte ad un attacco diplomatico dicendo signori noi siamo abituati ad una democrazia che funziona con un determinato sistema e se voi volete inserirvi nel nostro sistema internazionale allora dovete rispettarla. Questo ha un peso enorme e oggi Israele non sta affrontando questo.

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