Ha un valore aggiunto Opera Prima, il festival che il Teatro del Lemming organizzare nella sua città con ostinazione e scarso interesse comunale. In un Veneto in volata verso la scellerata autonomia differenziata, la comunità di artisti e spettatori chiamata a raccolta dal festival produce una rinfrancante aria di resistenza. E la scelta della direzione di Massimo Munaro va verso l’invasione delle piazze del centro, a contagiare con la libertà delle arti performative il tessuto urbano. Nato nel 1994, ma interrotto un paio di volte, proprio per l’assenza di sostegno pubblico, Opera Prima ha celebrato la sua XX edizione, recuperando spettacoli e generazioni teatrali che attraversano appunto l’ultimo trentennio, dal Quijote! di Teatro Nucleo, a Teatro da mangiare? delle Ariette, a Jago di Roberto Latini, accanto ai nuovi lavori di gruppi storici, Voodoo dei Masque e Attorno a Troia dello stesso Lemming. In debutto in occasione del festival e affidato a giovani allieve/i, queste Troiane colpiscono, non solo per l’adesione al progetto di drammaturgia sensoriale che contraddistingue il lavoro di Munaro, ma per l’attualizzazione della tematica, la distruzione delle nostre civiltà. Senza scarpe, capelli sciolti, nessun oggetto metallico, il pubblico – nove persone – entra nello spazio scenico, affidandosi alle attrici, quando intorno restano solo i morti e le macerie della guerra. E’ invece un ritorno alla parola poetica degli esordi, L’urlo e altre falistre, il recital di Marco e Massimo Munaro che recuperano la lingua della madre, il dialetto di quel polesine umido e accogliente come il cinguettio delle rondini al tramonto. Di perdita e distruzione racconta anche il pianista palestinese Aeham Ahmad, cresciuto nel campo di Yarmouk. Si esibiva nelle strade di Damasco, prima che gli distruggessero il suo piano.