Temo che il M5s diventi la forza politica dell’odio». Parole che sembrano pronunciate qualche anno fa da Maria Elena Boschi, e invece ieri l’ha detto Luigi Di Maio. Dopo una giornata (giovedì) di sciabolate con Giuseppe Conte, ieri il ministro degli Esteri è tornato alla carica: «Mi sono permesso di porre dei temi per aprire un dibattito su questioni come la Nato, la guerra in Ucraina, la transizione ecologica e ho ricevuto insulti personali».

Nel duello- come da copione- è entrato anche «l’elevato» Beppe Grillo che ha difeso la regola del tetto dei due mandati, invisa a Di Maio. E ha bollato i critici come quelli «che si arroccano nel potere», «ebbri da retorica da ottimati». La funzione della regola, scrive Grillo nel blog, «è prevenire il rischio di sclerosi del sistema di potere, se non di una sua deriva autoritaria, che è ben maggiore del sacrificio di qualche (vero o sedicente) Grande Uomo». Toccherà ancora a lui, in una visita a Roma prevista per il 22 giugno, tentare di salvare la baracca.

QUANTO AI BIG DEL MOVIMERNTO che rischiano di tornare a casa (sono una settantina, compresi Di Maio, Fico, Crimi, Taverna, Bonafede, Toninelli, i ministri Dadone e D’Incà), «il dilemma può essere superato in altri modi, senza privarsi della regola», indica il fondatore, aprendo alla possibilità di deroghe. Insomma, nessun alibi per le tentazioni scissioniste di Luigino. Che fa una doppia capriola, lanciando un polemico invito al voto: «Noi non stiamo guardando al 2050, ma indietro. Io invito a votare gli iscritti secondo i principi fondamentali del Movimento perché questa è una forza che si sta radicalizzando all’indietro».

IL MESSAGGIO È CHIARO: voi vi attardate nel passato, io guardo avanti. Tutti, dentro e fuori il M5S, in queste ore si domandano dove voglia andare a parare. Se abbia in mente un nuovo approdo o stia solo cercando di logorare Conte. «Di certo non uscirà, vuole farsi cacciare», dicono fonti contiane. «E a quel punto potrebbe confluire in un rassemblement centrista di ispirazione draghiana» che ad oggi è ancora solo un’evocazione.

«Noi lo accoglieremmo a braccia aperte», dice Emilio Carelli, ex direttore di skyTg24, fortemente voluto da Di Maio nelle liste 5S nel 2018 e poi fuoriuscito. «Per me non è interlocutore perché ha fatto solo disastri, di lui non mi fido: prima era dannoso e inutile, ora è solo inutile», taglia corto Calenda ospite dell’Aria Che Tira su La7.

PER ORA IL FARO POLITICO di Di Maio è Mario Draghi. «Faremo di tutto perché il premier vada al consiglio Ue con la massima forza e con la massima possibilità di rappresentare il Paese con una coalizione compatta», ha spiegato. Lanciando allarmi su possibili deviazioni del Movimento il 21 giugno in Aula in occasione delle comunicazioni di Draghi (che Conte ha smentito): «Leggo che una parte del M5s vuole inserire nella risoluzione frasi che disallineano l’Italia dalle sue alleanze storiche, la Nato, l’Ue e da quella che è la sua postura internazionale. Non diamo grande prova di maturità politica quando strumentalizziamo il presidente del Consiglio». E ancora: «Non è chiara la nostra ricetta per il Paese e questo spiega perché nella nostra coalizione il Pd sale e noi scendiamo».

DAL FRONTE CONTIANO risponde la viceministra allo Sviluppo Alessandra Todde, che è anche vicepresidente del M5S: «Giuseppe Conte è il leader legittimo del M5S, eletto col 94% dei voti. Non esiste uno scontro tra lui e Di Maio, ma una contrapposizione di Di Maio con il M5S». «Il nuovo corso ha prodotto un’organizzazione che decide in maniere collettiva e non come accadeva in passato quando il capo politico era Luigi. Quindi crea sconcerto sentir parlare di poca democrazia da chi non l’ha mai esercitata. È ormai chiaro che Di Maio, capo di una corrente minoritaria, lavora soltanto in unica direzione: la sua», prosegue Todde. «Luigi ha dimostrato nel tempo di lavorare soltanto per la sua sopravvivenza. L’impressione è che stia cercando la scissione. Se ritiene che la sua storia nei 5 Stelle debba finire così, vada per la sua strada. E chi lo ritiene lo segua».

QUASI UN INVITO, cui Todde fa seguire l’ipotesi di «sanzioni disciplinari» da sottoporre al vaglio degli iscritti. «Ho la sensazione che le dichiarazioni pubbliche di Di Maio, cosi frontali contro la comunità e contro gli iscritti 5 Stelle, dimostrino che lui ha già in testa un percorso diverso rispetto al nostro».  Michele Gubitosa, un altro vicepresidente, rincara: «Ormai sembra giocare una partita tutta sua, evidentemente non si sente più parte del Movimento».

Roberta Lombardi, una delle fondatrici, si dice «sorpresa» per le parole del titolare delle Farnesina. E sul governo dà manforte a Conte: «Ci stiamo per realizzare e difendere le misure del nostro programma. Ove questo non fosse possibile, è il governo Draghi che espelle il M5S, non siamo noi i responsabili».