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Di Maio: «M5S è vivo». Il flop accelera la riorganizzazione

Di Maio: «M5S è vivo». Il flop accelera la riorganizzazione

Cinque Stelle Entro domani il voto on line

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 26 febbraio 2019

«Il M5S è vivo e vegeto. E va avanti, in Sardegna come a livello nazionale». Luigi Di Maio ci tiene a rassicurare tutti e mostrarsi sereno. In realtà sono almeno tre gli elementi che emergono dalle elezioni sarde che lo preoccupano perché si affiancano al collasso di voti subito dal M5S, conferendogli un significato particolare.

Il primo è la tenuta del centrosinistra, che dopo l’Abruzzo ritrova motivo di credere nel ritorno dello schema bipolare tradizionale. Il secondo è la vittoria di un centrodestra nel quale la Lega di Matteo Salvini non sfonda, circostanza che fa escludere ci sia stato un travaso di voti interno alla coalizione gialloverde e che piuttosto rischia di indirizzare il leader leghista verso un’alleanza più tradizionale. Infine, ci sono le condizioni ambientali del voto sull’isola: la rabbia dei pastori solo fino a pochi mesi fa avrebbe creato il contesto ideale per l’affermazione di un M5S in grado di canalizzare il voto di protesta. Ciò non accade e il capo politico grillino è preoccupato dalla possibilità che il M5S si fermi a mezz’aria, non percepito più come forza di lotta ma neanche premiato come partito di governo. Così, una regione che meno di un anno fa aveva eletto ben sedici parlamentari grillini oggi punisce senza sconti il M5S.

Che queste preoccupazioni nell’immediato finiscano per incidere sull’alleanza di governo pare escluso. La reazione è semmai opposta: trincerarsi dietro le posizioni di potere per cercare di reagire. Il malcelato nervosismo causato dal crollo elettorale viene convogliato nel processo di riforma organizzativa che stravolgerà il Movimento 5 Stelle. La proposta di Di Maio trae ulteriori motivi per andare avanti perché l’esito elettorale viene utilizzato come argomento a favore di un’accelerazione della ristrutturazione: tra oggi e domani la nuova struttura del M5S verrà messa ai voti, pare in un’unica soluzione.

Di Maio ha anche trovato un accordo con Davide Casaleggio per procedere in questo senso. Al punto che due giorni fa il referente della piattaforma Rousseau in un’intervista al Fatto Quotidiano ha proferito alcune sentenze che fino a poche settimane fa parevano impensabili. Contravvenendo ad anni di propaganda genericamente anti-casta, Casaleggio ha affermato che ai consiglieri comunali dovrebbe essere «aumentato lo stipendio», confermando che l’attenzione dei vertici grillini è rivolta ad escogitare espedienti che rendano appetibili le candidature alle amministrative. Tra di essi comparirà il via libera ad alleanze con liste civiche.

E troverà posto l’abolizione del limite dei due mandati. Anche questa proposta qualche settimana fa veniva rigettata con sdegno da Di Maio e soci, ma il punto è delicato quanto improcrastinabile. Serve a sbloccare la crescita di quadri politici intermedi e molto pragmaticamente ad assicurarsi che la nutrita schiera di eletti al secondo giro non sia indotta in tentazione e non si avventuri in cambi di campo per sperare nella candidatura in qualche altra forza.

Tutto è terribilmente complesso, come spesso capita in politica. «Semplificare troppo i messaggi lascia il tempo che trova» è infatti l’altra sorprendente affermazione di Casaleggio: uno degli artefici della comunicazione grillina sgretola un altro pilastro del M5S e contraddice l’indicazione fornita anni fa dal babbo Gianroberto ai suoi: «Abbassate il livello dei discorsi». Il nuovo M5S sarà governato da una specie di segreteria composta da fedelissimi di Di Maio. I referenti saranno divisi per competenze territoriali (un responsabile per ogni regione) o per aree tematiche.

Difficile dire come questi funzionari interagiranno con la squadra dei ministri grillini. Di Maio nega ogni ricaduta sugli equilibri politici: «Non vedo nessun problema, per il governo non cambia niente: è al lavoro sui dossier più importanti». Ma il rischio è una nervosa paralisi. Ad un’agenda di governo che rincorre con le questioni più spinose, è successo ieri con la legittima difesa, si risponde con la scelta di procrastinare. La Lega acconsente, perché ancora non ha interesse a toccare nulla. Il mantra vale molte questioni: «Se ne riparla dopo le elezioni europee».

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