Luigi Di Maio annuncia a Repubblica che l’«obiettivo» che si era posto è ormai raggiunto. La faticosa transizione è compiuta: il M5S è una forza «europeista, moderata e liberale».

L’USCITA del ministro degli esteri spiazza in molti. «Il M5S non è una forza moderata e liberale, non lo è mai stata e non lo diventerà», scrive ad esempio su Facebook il senatore Andrea Cioffi. E Max Bugani, storico esponente del M5S bolognese e stretto collaboratore di Virginia Raggi: «Quindici anni di battaglie per diventare una costola di Berlusconi? Un trionfo». Replica il deputato Sergio Battelli: «Qualcuno non sarà d’accordo, ma è indispensabile ammettere a noi stessi di essere cresciuti, di aver capito cosa voglia dire prendersi delle responsabilità».

Ma al di là dei dissidenti sono pochi quelli che confutano apertamente l’esternazione di Di Maio. Il quale non è un avventato, lo hanno dimostrato i silenzi delle settimane scorse. Parla proprio adesso perché ha bisogno di ritagliarsi uno spazio nel nuovo corso grillino. Sa che deve muoversi per non rimanere travolto dagli eventi e da due personalità che lavorano di concerto potrebbero offuscarlo. Da una parte c’è Beppe Grillo. Il M5S «moderato» e «liberale» non coincide perfettamente con il ritorno alle origini ambientaliste dei 5 Stelle messo in pratica dal fondatore, senza tanti annunci preparatori, in occasione delle consultazioni che hanno portato alla nascita del governo Draghi.

Ma Di Maio non entra in rotta di collisione perché si accoda all’altra scelta strategica del Grillo è ridisceso in campo per impedire che il M5S finisse nell’entropia degli scontri interni: quella che prevede che il nuovo M5S sarà guidato da Giuseppe Conte. Di Maio utilizza una formula particolare per lanciare l’ex premier al vertice del M5S. Auspica il suo impegno presentandolo come logica conseguenza della strada fatta e dall’ex capo politico rivendicata. Adesso che il M5S sotto la guida di Di Maio, ha portato avanti la sua «evoluzione», questa «si può completare con l’ingresso di Conte».

DI MAIO fa buon viso ma sa di prendere parte a un gioco che per potrebbe diventare rischioso per lui. Anche perché a più di un anno dalle sue dimissioni da capo politico ha capito che è in grado a controllare il M5S senza esserne formalmente al vertice. Sarà al governo, avrà il ruolo di capodelegazione e da quella posizione potrà lasciare il lavoro sporco della costruzione del nuovo M5S a Conte. Avranno a disposizione staff separati e ricopriranno ruoli diversi dai quali conseguiranno differenze.

CONTE OGGI tiene la sua lectio magistralis all’Università di Firenze che viene annunciata dai contenuti molto politici. Tra i 5 Stelle dei palazzi romani si dice che dovrebbe annunciare la sua disponibilità a guidare i 5 Stelle entro un paio di settimane. Nel frattempo Grillo troverà il modo di ritagliare una carica per Conte. E dovrà decidere il destino della leadership collegiale pensata nel corso degli Stati generali di novembre e decotta prima ancora che ne fossero scelti i componenti.

Quell’organismo era un espediente per salvare il M5S mettendo intorno a un tavolo le diverse anime che lo compongono, ma a questo punto non serve più. Anzi, sarebbe dannoso: innescherebbe una campagna elettorale interna e potrebbe creare nuove divisioni. È difficile, oltretutto, che in questo passaggio di consegne la piattaforma Rousseau abbia un ruolo centrale che vada oltre la semplice ratifica di una scelta già fatta. Anche perché Conte difficilmente appenderebbe il cartellino della sua leadership fin da subito alla piattaforma di Davide Casaleggio, il cui ruolo sarà ridimensionato.

IL FONDATORE è determinatissimo, non ci pensa a tornare indietro sulle espulsioni dei giorni scorsi e non ha neanche pensato a un modo di recuperare gente come Nicola Morra e Alessandro Di Battista, che pure in questi giorni hanno dissentito stando attenti a non alzare troppo i toni. Di più: a breve sono attesi altri provvedimenti disciplinari nei confronti di altri parlamentari. La scelta è ormai quella di sfrondare, a costo di perdere peso in parlamento e fondi per i gruppi, per evitare di doversi cimentare ancora con eletti che non accettano che il M5S stia entrando in una nuova fase della sua storia.

LO HA CAPITO BENE, ad esempio, Stefano Buffagni, che non è entrato nella lista dei sottosegretari. L’ex viceministro allo sviluppo economico non nasconde il malcontento, ma si adegua alla linea. «Errori ce ne sono stati ma preferisco lavare i panni sporchi in casa, altrimenti ci massacrano – dice ai suoi sostenitori Buffagni – Dobbiamo evolvere e lo facciamo se diamo risposte alle persone stando al governo. Non abbiamo più bisogno di bandierine, le Padanie lasciamole ad altri. E dobbiamo farlo con Giuseppe Conte. Beppe Grillo condivide questa visione. Lui è un visionario, noi dobbiamo avere la forza di essere esecutori di questa visione».