Politica

Di Maio alla prova Rousseau. E Grillo gli fa lo sgambetto

Di Maio alla prova Rousseau. E Grillo gli fa lo sgambettoIl villaggio Rousseau organizzato dalla Casaleggio a Genova – LaPresse

Movimento quasi acefalo La crisi della leadership 5 Stelle piomba nei momenti decisivi della formazione del nuovo governo

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 29 agosto 2019

Dopo anni di promesse sul partito leaderless, il Movimento 5 Stelle si ritrova per la prima volta quasi acefalo: mentre le tensioni interne aumentano ora dopo ora, la crisi della leadership di Luigi Di Maio piomba proprio nei momenti decisivi della formazione del nuovo governo. Quasi per forza di inerzia incombono sulle prossime mosse del M5S le figure di Beppe Grillo e Davide Casaleggio. Il primo irrompe con un post sul suo blog che sembra proclamare l’esatto contrario di quanto predicato per anni circa l’esigenza di portare i cittadini comuni dentro le istituzioni. Grillo adesso fa una specie di elogio della tecnocrazia.

«I ministri vanno individuati in un pool di personalità del mondo della competenza – scrive Grillo – assolutamente al di fiori dal ruolo della politica». Quando afferma che «è arrivato il momento di dimostrare a noi stessi e agli altri che le poltrone non c’entrano nulla», pare proprio Di Maio ad essere messo sotto accusa. Tanto è plausibile l’interpretazione che a strettissimo giro dal M5S si affrettano a spiegare che Grillo e Di Maio si sono sentiti al telefono e che il fondatore avrebbe detto al capo politico: «Sei tu il capo e decidi tu, il mio è stato soltanto un paradosso».

A PROPOSITO DI PARADOSSI: sul cammino politico del M5S c’è poi la fatidica consultazione degli iscritti sulla piattaforma Rousseau gestita da Casaleggio. Secondo i sostenitori della votazione online, Giuseppe Conte dovrebbe accettare l’incarico con riserva e poi aspettare che si esprimano i tele-votanti da casa. Ma un numero crescente di grillini, soprattutto parlamentari, trova paradossale il ricorso ad uno strumento che incombe nelle fasi cruciali ma che, quanto a quantità dei partecipanti e qualità dei contributi, è tutt’altro che centrale nella vita quotidiana del M5S. Non esiste un dato ufficiale degli iscritti alla piattaforma. Secondo alcuni si tratterebbe di circa 100 mila persone, dato stabile da anni. Smentendo la mistica della rete che distrugge i vecchi media, ormai quasi due anni fa per rimpolpare le adesioni quelli di Rousseau avevano aperto alle iscrizioni via sms.

La linea discendente non è stata invertita, anche se ciò non impedisce all’associazione Rousseau, composta oltre che da Davide Casaleggio anche da Massimo Bugani, Pietro Dettori e dalla consigliera comunale di Pescara Enrica Sabatini, di ricevere da ognuno degli oltre trecento parlamentari del M5S 300 euro al mese. Nei mesi scorsi tra deputati e senatori non sono mancati i mugugni per il balzello a favore di Casaleggio, ma ora la questione del peso specifico di una piattaforma che spesso è una scatola vuota si fa ancora più evidente. Quello che fino a poco tempo veniva considerato un obolo necessario a mantenere equilibri interni e a giocare un ruolo identitario nel M5S come partito della «democrazia diretta» adesso alimenta la conflittualità interna.

Ieri Manlio Di Stefano (vicino a Di Maio) ha tirato le orecchie alle voci critiche: «Dovrebbero portare un po’ di rispetto per il sistema che li ha creati», ha detto più o meno Di Stefano. Dall’altro lato della barricata interna si schiera la deputata Flora Frate, che non è affatto isolata quando pronuncia parole di fuoco contro il ricorso alla piattaforma Rousseau. «Vincolare il Conte bis all’esito di un voto gestito da una società privata, senza alcuna garanzia di trasparenza, è una scelta assurda», sbotta Frate.

SECONDO L’AVVOCATO Lorenzo Borrè, che è un po’ la bestia nera del M5S e che in passato ha vinto diversi ricorsi contro i regolamenti via via adottati dalle scatole cinesi che ne compongono la struttura legale, l’ultima parola ce l’avrebbe proprio Luigi Di Maio. Al «capo politico» e al «garante», infatti, l’articolo 5 dello statuto del M5S attualmente in vigore concede la possibilità di «chiedere la ripetizione di una consultazione, che in tal caso si intenderà confermata solo qualora abbia partecipato alla votazione ameno la maggioranza degli iscritti ammessi al voto». Il dispositivo sarebbe stato elaborato da Luca Lanzalone, giurista di riferimento di Grillo poi finito agli arresti per corruzione, proprio per contravvenire ai ricorsi e alle beghe legali che incombevano sulla testa del co-fondatore del M5S.

Molto dipenderà dal modo in cui verrà formulato il quesito. Diciotto mesi fa, al tempo della nascita del governo gialloverde, agli iscritti venne sottoposto il contratto di governo, senza menzionare esplicitamente l’alleanza con la Lega. Anche questa volta l’escamotage potrebbe essere simile: al vaglio della consultazione passerebbero i punti programmatici enunciati da Di Maio nei giorni scorsi.

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