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Destra e sinistra: Renzi alle prese con Bobbio. Ma non lo capisce

Povero Bobbio. Nel decennale della scomparsa, l’editore Donzelli non ha trovato di meglio che inserire un intervento di Matteo Renzi nella riedizione del best seller del filosofo torinese, Destra e […]

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 25 febbraio 2014

Povero Bobbio. Nel decennale della scomparsa, l’editore Donzelli non ha trovato di meglio che inserire un intervento di Matteo Renzi nella riedizione del best seller del filosofo torinese, Destra e sinistra. Quello del premier è un testo – anticipato domenica da Repubblica – che va considerato lo sfondo ideologico del discorso pronunciato in Senato. Nelle intenzioni dell’autore, immaginiamo si debba trattare di un’esibizione di dimestichezza con un grande intellettuale del Novecento italiano e di capacità d’azione nel campo non solo «del fare», ma anche del pensare. Come s’addice al compito a cui l’ex sindaco è ora chiamato.

A voler essere generosi, la performance teorica di Renzi non è granché. Non sembra avere tratto particolare ispirazione dalle pagine bobbiane, che pur saranno state lette e meditate. È persino difficile ricostruirne la tesi fondamentale, tanto appare confuso e contraddittorio quello che il premier sostiene: siamo lontani dalla limpida chiarezza della prosa di Bobbio. Con un po’ di sforzo, ciò che Renzi pensa potrebbe sintetizzarsi così: il criterio di distinzione fra destra e sinistra non è più individuato dalla diversa risposta alla domanda circa l’uguaglianza, bensì dal diverso atteggiamento nei confronti della coppia concettuale progresso/tradizione (anche nella variante innovazione/conservazione).

Benissimo: ammettiamo che sia così. Ci aspetteremmo allora di trovare la disamina di come si articoli oggi tale contrapposizione. Alcuni esempi possibili: fiducia nella scienza contro superstizione in materia di fecondazione assistita; riconoscimento dei diritti degli omosessuali contro pregiudizi di origine religiosa; negazione del requisito del «sangue» per chi voglia acquisire la cittadinanza; accoglimento delle tesi antiproibizioniste sulle droghe; virata verso il pacifismo nonviolento contro la retorica militaresca e patriottarda. Un profilo che assomiglierebbe a quello dei Radicali, per intendersi.

E invece no. Nulla di tutto ciò, come mostra anche il discorso d’investitura di ieri. Il richiamo alla coppia «progresso/tradizione» è un mero artificio retorico utile al suo scopo ideologico: mettere in soffitta il concetto di eguaglianza come architrave della sinistra. Nella riflessione renziana, progresso significa capacità di «riconoscere e conoscere il movimento continuo delle nuove dinamiche sociali». Un’attitudine giusta in sé, ma che difficilmente può essere ritenuta una definizione di «progresso». E nella quale non c’è nulla di nuovo: se in una cosa la cultura di sinistra ha sempre eccelso, è proprio lo sguardo socio-economico sulla realtà in perenne trasformazione. Da Marx in poi.

Ma quel che a Renzi preme dire è che, acquisita ormai «l’invenzione del welfare», la sinistra «tradizionale» è da rottamare. Quindi anche Bobbio, che, per inciso, aveva posto importanti problemi – in altri libri – che il premier trascura: ad esempio, la democratizzazione della società, la persistenza di poteri occulti, l’antitesi democrazia/tecnocrazia. La «riflessione» su Bobbio serve solo, insomma, a nobilitare intellettualmente l’abbandono dell’idea di eguaglianza. Senza nemmeno riuscirci davvero: alla fine del suo «manifesto», accade che l’ex sindaco evochi «gli ultimi e gli esclusi» che la sinistra – è lui a dirlo – è chiamata a rappresentare. E allora, verrebbe da chiedere al premier: sulla base di cosa individua «ultimi ed esclusi», se non servendosi del concetto (e degli indicatori) di eguaglianza?

 

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