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Dessì, squarcio mentale universitario

Dessì, squarcio mentale universitarioGianni Dessì, "Controluce", 2022, Roma, Università La Sapienza, Facoltà di Lettere e Filosofia

A Roma, La Sapienza, Gianni Dessì per il progetto «Residenze d’artista» "Controluce": la tavola a encausto in un’aula di Lettere e Filosofia sfonda leggera le pareti della didattica e apre sulle possibilità ulteriori del sapere

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 24 aprile 2022
Gianni Dessì, “Controluce”, 2022, Roma, Università La Sapienza, Facoltà di Lettere e Filosofia

Cosa cambia in uno spazio se su una delle sue pareti è installata l’opera di un artista? Parafrasando la domanda che si era posto Louis Marin nel 1982, ripropongo il quesito pensando all’opera dal titolo Controluce che Gianni Dessì ha concepito per un’aula universitaria del Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte e Spettacolo della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza. Non si tratta di un museo o di una galleria ma di un’aula, e per questo la domanda non è ovvia. Una bella giornata, dedicata all’artista il 4 aprile, ha ripercorso, da molti punti di vista (da Giovanni Careri a Claudio Zambianchi, da Danilo Eccher a molti professori della Sapienza) la ricerca di Dessì che, dalla fine degli anni settanta, è tra gli artisti che hanno continuamente ripensato la pittura e la scultura, tornando a un fare immagini che rimaterializza l’idea in una prospettiva spaziale espansa.
Gaetano Lettieri, direttore del Dipartimento, ha avviato circa tre anni fa il progetto «Residenze d’artista», e il primo artista invitato è stato Gianni Dessì. L’idea di una residenza nello spazio universitario richiama naturalmente molte riflessioni. Tuttavia il primo aspetto significativo riguarda il fatto che l’artista provi ad abitare e vivere lo spazio, cercando di costruire una sintonia con quanto avviene nelle aule, nei corridoi, fin nei contesti esterni alla didattica. Quindi Dessì (e per me, che ho seguito questo progetto, è stata un’occasione per uno scambio bello e proficuo) ha cominciato subito a immaginare: un laboratorio collettivo di segni e suoni, colori e parole sulle pareti delle scale dove gli studenti e i docenti transitano ogni giorno; una installazione aerea, posizionata dove lo sguardo di chi frequenta l’Università difficilmente si direziona, sulla parete laterale dell’edificio della Facoltà di Matematica, vicino a Lettere e Filosofia; lo stesso Museo dell’arte classica (o dei Gessi) poteva diventare il luogo di uno scambio fecondo tra antico e attualità, situando in una posizione strategica, osservabile da lontano, per incuriosire e poi invitare ad avvicinarsi, una scultura, probabilmente gialla, ovvero di un colore che per Dessì è importante e che più volte ha usato, anche nella misura ambientale, come nella prima Camera picta realizzata nel 1991 per Edicola Notte, lo spazio autogestito di H. H. Lim.
Tuttavia la pandemia, e quello che ha comportato, ovvero la chiusura della didattica in presenza, non ha permesso di realizzare quello che era il principale obiettivo: abitare e dialogare con interventi specifici, pensati e progettati per l’università, gli spazi e la vita degli studenti.
L’idea di Controluce, che quindi per ora costituisce il passo iniziale di un progetto più ampio, non rinuncia comunque a quanto Dessì aveva immaginato e anzi sottolinea l’intento di una coabitazione: dell’opera come intervento specificamente ideato in relazione a quanto avviene in un’aula universitaria. Controluce è costituita da una tavola ovale realizzata a encausto, sulla quale l’artista ha dipinto l’incontro di due linee nere in un punto nascosto da una forma che si percepisce solida e in bilico, e la sagoma scura di un mezzo busto umano. La tavola, installata in una posizione obliqua, aggiunge tra l’altro un orientamento inatteso che dialoga su uno sfondo di colore blu: una fascia rettangolare dipinta che estende a destra e sinistra l’opera e che ricorda tante altre opere costruite in questo modo da Dessì.
Tutto è sapientemente accordato, anche con il colore delle sedute. L’opera è dunque costituita da una parete intera dell’aula ripensata attraverso la pittura, i materiali, le stratificazioni sia temporali (l’esecuzione) che spaziali. Quel che vediamo nella tavola si protende nello spazio. Come avviene molto spesso nelle opere di Dessì, anche in Controluce c’è un elemento per lo più centrale che cattura lo sguardo ma dal quale si determina un’espansione che raggiunge punti distanti in un’idea di tridimensionalità che coinvolge e avvolge. L’opera ci parla di una visibilità ridotta e mostra una figura che non sappiamo se guardi dentro o fuori; apre tuttavia sulla parete uno squarcio mentale costituito dalla luce che emana dall’ovale pensabile quindi come una finestra aperta nell’aula. L’oscuramento della figura produce inoltre invisibilità nel visibile e la luce si materializza dentro e oltre lo spazio per divenire ambiente. L’immagine rende dinamico lo spazio dell’aula: produce molteplici focus visivi, sfonda l’ambiente ricordandoci che il limite è sempre oltrepassabile, rovescia inoltre le prospettive. L’ installazione dell’opera è infatti non in posizione frontale rispetto alla seduta degli studenti, ma dietro, alle loro spalle, in una posizione defilata, costituendo così un alter ego silenzioso relativamente al docente che si trova alla cattedra.
Dessì non ha pensato a un’opera da esporre né a qualcosa di monumentale da posizionare in un punto strategico della Facoltà. Ha invece riflettuto sulla possibilità che l’opera dialogasse con gli studenti e con quanto avviene nell’aula. La creatività dell’artista si è misurata questa volta con il processo stesso dell’insegnare, con l’attenzione degli studenti, invitando a immaginare. Realizza ciò attraverso un intervento che per Dessì ridisegna il luogo, mettendo alla prova i suoi confini, la sua funzione, la sua destinazione.
Scendendo dalle scale della Facoltà, guardando a destra si incontra sicuramente con lo sguardo la statua della Minerva di Arturo Martini, del 1935, installata nel piazzale del Rettorato: la posizione è centrale rispetto all’asse architettonico determinato dagli edifici e dal viale d’accesso, la scultura è monumentale, l’iconografia della guerriera con lo scudo trasmette l’idea di una conquista del sapere, negli stessi anni della guerra in Etiopia. Forse potrebbe essere anche interessante un confronto tra, per esempio, Uomo che beve di Martini, una scultura del 1933-’36, e una scultura del 2008 di Dessì, dove una figura senza testa è piegata e sorretta da quattro arti.
È la monumentalità che un artista come Dessì ha tuttavia trasformato, alleggerendo lo scudo pesante della Minerva in una tavola che si smaterializza nell’alone luminoso. Non è soltanto una suggestione: nel gesto e nell’idea pensati da Dessì, c’è la storia di un artista che, dalla fine degli anni settanta, ha concepito il colore o i materiali come elementi che disegnano e ripensano lo spazio; c’è tuttavia anche la storia di una diversa idea dell’arte: dall’opera da collocare in uno spazio all’opera che agisce e dialoga nello spazio, fino a confondersi con esso e a ridefinirlo come ambiente vissuto tra esperienze condivise.

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