Internazionale

Desmond Tutu: basta infangare il suo nome

Mandela Monito dell'arcivescovo emerito e Nobel per la pace: appello alla coscienza morale del Sudafrica, stop alle polemiche fra i familiari, è come sputare in faccia a Madiba

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 6 luglio 2013
Rita Plantera Cape Town

Quando l’abbiamo incontrato, una settimana fa, ci ha accolto molto gentilmente Desmond Tutu e altrettanto fermamente però non ha accettato di rilasciare alcuna intervista su Nelson Mandela e il suo Sud Africa dei tempi andanti. Per rispetto alla famiglia di Madiba in un momento così difficile. Ma giovedì scorso, con un comunicato affidato alla sua Desmond&Leha Tutu Legacy Foundation, ha sospeso ogni silenzio la «coscienza morale del Sudafrica» – come è anche noto l’Arcivescovo Emerito di Cape Town e Premio Nobel per la Pace a cui durante le prime elezioni democratiche del 1994 piacque definire il suo Paese la «Rainbow Nation». Più che una dichiarazione un appello pubblico il suo – come ormai troppo pubblica è diventata la faida che sta imperversando tra i famigliari di Mandela – per richiamarli con fare fraterno ma risoluto e invitarli ad abbassare i toni. Da giorni e giorni ormai quotidiani e network tv locali e nazionali aprono solo sulla lotta intestina tra i suoi famigliari in merito al villaggio che ospiterà le sue spoglie.

Una diatriba che è ormai diventata una saga famigliare dai contorni da soap opera dopo che a fare da contorno alla vicenda si sono aggiunte accuse reciproche tra zii e nipoti di sfruttamento a fini di lucro del nome e della faccia di Madiba nonché addirittura di adulterio. «Please, please, please, possiamo non pensare solo a noi stessi? È quasi come sputare in faccia a Madiba» scrive l’anziano ma ancora in forze arcivescovo e attivista per i diritti umani. «La vostra angoscia, ora, è l’angoscia della nazione e quella del mondo. Vogliamo abbracciarvi, sostenervi e far brillare il nostro amore per Madiba attraverso di voi. Please, cerchiamo di non infangare il suo nome». Nato nel 1931 a Klerksdorp – nel Transvaal – fu ordinato sacerdote quando in Sud Africa ebbe inizio la politica di segregazione razziale con il trasferimento forzato di neri e asiatici dalle aree designate come «whites only», diventando primo arcivescovo nero di Cape Town. Da qui divenne noto a livello internazionale per i suoi forti anatemi contro il governo della minoranza bianca per spingerlo a mettere fine alle politiche dell’apartheid. Carica che lasciò nel 1996, due anni dopo che Mandela era stato eletto Presidente, per dirigere la Truth and Reconciliation Commission.

Quello di Desmond Tutu però non è stato l’unico richiamo alla moderazione rivolto alla famiglia dell’ex Presidente del Sud Africa. Lo stesso attuale vice presidente Kgalema Motlanthe ha infatti espresso la speranza che la disputa ormai di dominio pubblico si possa risolvere in «modo dignitoso». E nei giorni scorsi a intervenire erano stati i leader della casa reale della tribù Thembu preoccupati che la vicenda abbastanza spiacevole potesse intaccare l’immagine e la reputazione del patriarca Madiba. Tutto questo all’ombra della confusione sulle intorno alle reali condizioni di Mandela che gli ultimi bollettini ufficiali – in smentita alle notizie che lo volevano in coma irreversibile – hanno negato essere di stato vegetativo ma ancora critiche e stazionarie. Anzi, per la moglie Graça Machel «sta bene» e per il compagno di prigionia Denis Goldberg era cosciente quando è andato a trovarlo lunedì.

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