Chi cerca un’immagine stereotipata di Israele quale stato moderno – dove per moderno si intende quello risultante dai processi di formazione e secolarizzazione che, a partire dal 1400 arrivano alla formazione degli stati nazionali occidentali per proseguire fino alla decolonizzazione del secondo dopoguerra – è bene che scansi Israele – una storia in dieci quadri, l’ultimo lavoro di Claudio Vercelli, edito da Laterza (pp. 181, euro 15). Laddove si scelga invece uno sguardo analitico e non compiacente agli stereotipi, un approccio che ragioni su Israele come fenomeno partecipe della modernità troverà nei «dieci quadri» in cui è articolato il volume – da Pensare il nome Israele a La terra e i flussi: geografia, economia e globalizzazione, da Ridefinire il rapporto tra demografia e democrazia a Rappresentanza elettiva e populismo nella società politica israeliana tra gli altri – strumenti per una riflessione significativa.

Un volume il cui intento dichiarato è occuparsi di Israele e degli israeliani con la consapevolezza «di stare tra l’incudine e il martello», dove «scrivere è (…) un modo per cercare di sfuggire all’implacabilità delle scomuniche a prescindere da quale sia la parte che le pronuncia» perché «Israele è un nome ma richiama immediatamente un universo di significati».

LA SCELTA di Vercelli è deliberata: analizzare la realtà del «fenomeno Israele» a prescindere dal conflitto con i paesi arabi e con i palestinesi: uno sguardo che cerca momentanea requie da quel «surplus sentimentale e affettivo, che facilmente può trasformarsi in una deformante adesione ideologica o, alternativamente, in un non meno aprioristico rifiuto fondato sul pregiudizio». Tesse così un dialogo tra il passato diasporico ebraico e il presente in cui Israele è insieme la realtà di uno stato moderno e democratico, dal nascere segnato da un’utopia rivoluzionaria – declinata in una storia frastagliata e segnata da contrasti interni a cominciare dalle sue origini – fino alle sue molte conflittualità compreso il nodo centrale di ciò che costituisca per i suoi cittadini l’idea stessa di cittadinanza.

La definizione di sionismo, spiega Vercelli citando David Bidussa, è la «costruzione di una nazione ebraica, che forma un corpo politico che vuole la creazione di uno Stato sovrano in terra d’Israele (Eretz Israel) costituisce l’obiettivo fondamentale di questa dottrina e di questo movimento». Un volume che tesse quindi tra passato e presente a partire da un dato: «Un paradosso che fonda a ben vedere uno Stato che si vorrebbe “ebraico” ma i cui cittadini non sono d’accordo su quel che debba implicare tale aggettivo» eppure gli uni – gli ebrei – e l’altro – lo Stato – esistono e la loro esistenza è un fatto storico: presente e reale al di là di ogni immaginario.

DI GRANDE INTERESSE è la definizione di Diaspora proposta da Vercelli: «non una storia uguale a sé medesima destinata a replicarsi nel tempo secondo un cliché immodificabile, ma il groviglio di legami, rapporti, scambi e relazioni, così come di ibridazioni che, nel corso dei secoli ha fatto sì che grazie – e non malgrado – i molti cambiamenti vissuti, una qualche comune radice rimanesse» e aggiunge «beninteso non esiste nessun eccezionalismo ebraico». Anche la Diaspora è quindi immessa nel flusso della storia: l’ebraismo prima e Israele sono raccontati con occhio attento all’analisi delle pluralità con sforzo di lucidità e laicità.

È necessario per questo procedere per una progressiva decostruzione di immagini e concetti che fanno di quello Stato – come dell’immaginario collettivo che lo accompagna – anche una sorta di paradigma di alcuni temi della modernità: «La riduzione del tema delle identità a una sorta di entità atemporale, completamente slegata dallo scorrimento della vita, è una clamorosa finzione. Si rischia da subito un corto circuito proprio perché le parole sono inflazionate, ossessive». Una riflessione che non sfugge ai temi difficili del dibattito prima ancora che delle possibilità di analisi: «Un frutto amaro dell’irrisolto conflitto tra israeliani e palestinesi è l’intossicazione del linguaggio, la sua riduzione a strumento di brutale semplificazione» funzionale «alla contrapposizione tra tifoserie». Pagine che ragionano quindi su Israele in quanto realtà e punto di arrivo di processi complessi e profondamente innervati dalla e nella modernità, che propongono insieme incongruità e sfide che collocano la riflessione nel flusso della storia contemporanea e dei suoi cambiamenti.

COSÌ SE VERCELLI riflette nel solco della «forma stato» prodotta dal pensiero occidentale – nulla toglie alla constatazione del diritto all’esistenza di Israele quale stato libero e sovrano che fa i conti con eredità complesse quali quelle declinate dall’ovvietà della storia ebraica diasporica – compresa la Shoah quale ideologia e pratica di uno sterminio di massa industrializzato compiutosi nel cuore dell’occidente. Vercelli interroga la problematicità della Legge fondamentale su «Israele Stato nazione del popolo ebraico», approvata in terza lettura dal Parlamento dopo un dibattito burrascoso, il 19 luglio 2018: una legge – commenta – che «pur rivestendo un carattere puramente simbolico e prescrittivo ha ulteriormente ravvivato le polemiche».

«I punti maggiormente critici» – prosegue Vercelli commentando “l’originario prodotto” di uno dei governi Netanyahu – riguardavano soprattutto la rinnovata centralità dell’educazione ebraica (che è cosa diversa e non omologabile a quella israeliana) il cui prevalere impoverisce le altre «a partire dalla stessa cultura arabo-israeliana che nel corso del tempo è andata sviluppandosi, e intersecandosi con il mainstream nazionale, la non equipollenza della lingua araba a quella ebraica nella definizione della nozione di lingua nazionale, ossia sovrana». Ma l’oggetto ineludibile della questione «è la declinazione del binomio “Stato ebraico e democratico” che deriva dalla dichiarazione di Indipendenza e che è stata poi ripresa dal tutto il corpus giuridico israeliano».

«L’afflato identitario – prosegue Vercelli il cui lavoro avrebbe complessivamente guadagnato da una maggiore semplicità e linearità di linguaggio – è evidente (…) sovrapponendo ancora una volta ebraismo a nazionalità». Un dato implicito ma che «non era avvenuto in maniera così dichiarata» fino alla legge «Israele Stato nazione del popolo ebraico».

CLAUDIO VERCELLI propone quindi nei dieci quadri una riflessione che pur partendo dalla nascita di Israele ne ricostruisce contraddizioni e elementi di coerenza sia nel pensiero della destra sionista che nella sua componente di sinistra a partire dal sionismo prima e proseguendo dopo la nascita dello Stato: «L’atto costitutivo di Israele rilegge storia e presente (…). Non è di per sé una novità, trattandosi se mai di un ricalco del percorso già compiuto dal nazionalismo romantico nell’Ottocento, per legittimare sé stesso, la sua spinta, i risultati che da esso sono poi concretamente derivati. Di mezzo tuttavia sta il razzismo di Stato praticato dal nazifascismo europeo, non diversamente dall’etnicismo coloniale franco-britannico in Africa, che hanno lasciato una pesante impronta, molto condizionante, su qualsiasi tentativo di definirsi come “nazione sovrana”».

Ma il nodo è «nell’atto costitutivo di Israele» dove ebraismo e democrazia sono messi in relazione come due facce di una medesima medaglia, «in una sorta di lineare e immediata complementarietà»: nella Dichiarazione di Indipendenza di Israele vi si legge «della sua nascita, delle sue vicende e della sua politica come fenomeno storico che sotterraneamente si confronta con le vicende europee» (si veda la comparazione tra la destra israeliana e quella internazionale con particolare attenzione a quelle populiste) e ne trae elementi di somiglianza.
E proprio nel «quadro» dal titolo «Rappresentanza elettiva e populismi nella società politica israeliana» sta il confronto con le realtà europee e quella statunitense: anche questo iscrive Israele nei flussi della realtà contemporanea.

Così «se lo Stato d’Israele è, sul piano delle idealità la rigenerazione di un popolo, sul piano politico è semmai la costruzione di un’idea di nazione del tutto inedita (…) un tipico prodotto della modernità».
Si tratta quindi di «dieci quadri» dialoganti tra loro e dove la contemporaneità che investe l’immaginario sedimentato si impegna a rappresentare una realtà articolata e ricca delle contraddizioni del presenze di forze politiche e culturali che investono e sono agite dalla globalizzazione.