Dentro Organica, dove l’arte cerca un dialogo con la natura
Musei Lontano dalle coste prese d’assalto dai turisti mordi e fuggi un museo diffuso di arte ambientale, fondato nel 2020 e diretto da Giannella Demuro
Musei Lontano dalle coste prese d’assalto dai turisti mordi e fuggi un museo diffuso di arte ambientale, fondato nel 2020 e diretto da Giannella Demuro
«Passavamo sulla terra leggeri come acqua, disse Antonio Setzu, come acqua che scorre, salta, giù dalla conca piena della fonte, scivola e serpeggia fra muschi e felci, fino alle radici delle sughere e dei mandorli o scende scivolando sulle pietre, per i monti e i colli fino al piano, dai torrenti al fiume, a farsi lenta verso le paludi e il mare, chiamata in vapore dal sole a diventare nube dominata dai venti e pioggia benedetta».
VENGONO IN MENTE queste righe del capolavoro letterario di Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri appunto, mentre ci si inoltra nel Bosco di Curadureddu attraverso i sentieri del Parco del Limbara, nel nord della Sardegna tra la Gallura e il Logudoro. Qui, lontano dalle coste prese d’assalto dai turisti mordi e fuggi, spesso affascinati dai racconti «orientalisti» costruiti ad hoc per i continentali, è possibile visitare Organica, un museo diffuso di arte ambientale, fondato nel 2020 e diretto da Giannella Demuro.
IL PROGETTO vuole sviluppare un dialogo tra arte contemporanea e natura, e giustamente intende farlo nella regione del Mediterraneo che probabilmente più di ogni altra ricorda l’America e i suoi spazi sconfinati. Lo dico perché è inevitabile, durante la visita, pensare a quel «sublime naturale» da cui, alla fine degli anni Sessanta, prese le mosse la cosiddetta «Land Art» negli Stati Uniti. A chiunque sia capitato di andare in Sardegna, infatti, sarà successo di accorgersi di come il cielo qui sia più grande che altrove, e di notare come spesso gli spazi siano simili a quelli da cui fu catturata l’attenzione di artisti come Michael Heizer e Walter De Maria. Non sappiamo se qui, in un lontano passato, abbiano abitato i «danzatori di stelle» raccontanti da Atzeni, ma possiamo dire che la Sardegna sia paesaggisticamente più americana che europea.
NEGLI SPAZI APERTI del museo si possono incrociare opere permanenti di artisti sardi e non, tra questi Bruno Petretto, Pierluigi Calignano, Josephine Sassu, Gianni Nieddu, Sabrina Oppo, fatte di legni, pietre, gessi, e fibre. Invece negli spazi espositivi progettati dall’architetto Antonello Menicucci a partire da una struttura precedentemente destinata all’allevamento delle trote, fino al 31 luglio è possibile vedere 2 mostre, una del fotografo cagliaritano Cédric Dasesson (1984) dai titolo Altre tracce, una raffinata riflessione sul paesaggio dell’isola e la relazione con i suoi lenti processi di antropizzazione, e l’altra della giovane artista Eleonora Desole (1999), alla sua prima personale dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Sassari. Si tratta di una suggestiva installazione ambientale dal titolo Le visioni chiamano ad una notte vuota dove ci si può immergere nella dimensione onirica, ma allo stesso materiale, di uno spazio che la civiltà occidentale ha tendenzialmente cementificato relegandolo agli ambiti del ricordo o a quelli delle esperienze fuori dal comune, e che al contempo sospende il ritmo ansiogeno della modernità capitalistica per rimandare a quello ciclico di un «sublime naturale».
SORPRENDE DAVVERO per qualità questo lavoro d’esordio , facendo, inoltre, ben sperare sul futuro dell’arte in un territorio che in un recente passato è stato quello dello scultore Costantino Nivola, delle pietre sonore di Pinuccio Sciola, e dell’arte relazionale di Maria Lai.
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