Dentro liturgie botaniche sconosciute
Scaffale «Hortus mirabilis. Storie di piante immaginarie», un’antologia edita da Moscabianca
Scaffale «Hortus mirabilis. Storie di piante immaginarie», un’antologia edita da Moscabianca
Al paradosso della «grande cecità» con cui abitiamo il quotidiano senza quasi avvederci del fitto viluppo di presenze vegetali che pure ci avvolge e consente la vita sulla terra, si accompagna, nelle nostre riflessioni e nel nostro immaginario, il sentire del reticolo pervasivo di interrelazioni che ad esse ci avvince. È una costante che negli ultimi anni sembra essersi fatta infestante. Nel moltiplicarsi di studi e anamnesi mitografiche, nei rispecchiamenti dei diversi linguaggi artistici, nella letteratura come nella cultura popolare e, in una circolarità trans mediale di generi, dalla fantascienza all’horror, alle serie tv, ai cartoni animati, ai videogiochi: come ben illustrava il repertorio dedicato ai Giardini del fantastico. Le meraviglie della botanica dal mito alla scienza in letteratura, cinema e fumetto, da Pier Luigi Gaspa e Giulio Giorello, Edizioni Ets (sul manifesto del 3 dicembre 2017).
OGGI, SEPPURE OFFUSCATA dalla superficiale voracità delle tante mode riflesse sui media, dove il verde delle piante figura come ubiqua salvifica metafora di una presunta idea di natura, una nuova, complessiva attenzione viene dedicata alle relazioni che legano, oltre l’umano, tutte le forme della rete del vivente in un continuum, proprio a partire dalle piante – e dai funghi. Relazioni indagate dalla neurobiologia come dall’antropologia culturale del Come pensano le foreste di Eduardo Kohn (Nottetempo) o de Il fungo alla fine del mondo di Anna Lowenhaupt Tsing (Keller editore), suggerendoci la contaminazione come forma di collaborazione o il «valore progettuale dell’imprevisto», già nella lezione delle erbe vagabonde di Gilles Clément.
Con questo scenario, che con urgenza impone un radicale ripensamento del nostro spazio e ruolo di umani, si misura, sul versante letterario, tra consapevolezza e libertà espressiva, un’ardita operazione di ricerca come l’antologia istigata e messa a punto dalla casa editrice Moscabianca, specializzata nella pubblicazione di testi di speculative fiction, dedicata a indagare in chiave fantastica le molte forme dei rapporti e la labilità e mutevolezza della soglia che associa umano e vegetale, dal realismo magico al new weird di ambientazione fantascientifica.
È su tali registri che tredici piante inesistenti vengono convocate da quattordici giovani penne in questo Hortus mirabilis. Storie di piante immaginarie (pp. 384, euro 18). A inscenare, tra scarti di prospettive e ineffabili dialoghi interspecie, una poliglottica botanica delle relazioni.
PIANTE ALIENE che infestano di spore aspirazioni e sentimenti e di stoloni e viticci stazioni orbitali e interi ecosistemi con incommensurabili tessiture di tentacoli. Piante tramite, dove sdoppiarsi, essere abitati fino all’indistinzione e dove l’accudimento vale come lasciapassare o capaci per mimesi di superare in progenie le barriere dell’ibridazione tra regni.
Piante assassine che rotolando riemergono da passati ancestrali o di cui non si vede la cima, e la fine, che ci impongono sanguinosi sacrifici, capaci altresì di accompagnarci a ritroso nell’uscita da mondi ormai bruciati.
Piante benefiche, dalle profumate foglie blu (ricorrente colore di gran lunga prediletto dagli umani) e radici aeree distribuite come a crescere dentro un quadro, capaci di guarire l’afasia. Simbionti duplicate che additano parallele, inattingibili maniere nuove di stare al mondo. Piante reincarnazione che nella cura degli umani si apparentano ai luoghi e per il tramite di taccuini, resoconti digitali, manuali di giardinaggio, moltiplicando i soggetti e oltrepassando le generazioni disvelano nel corso dei millenni la sincronica molteplicità dei punti di vista, le utopie radicali di tutto ritessere per non sprofondare, arazzi dove si incrociano le tante indistinzioni dei linguaggi del vivente.
E PER OGNUNA D’ESSE, a parziale contravveleno dell’apparente irriducibile distanza morfologica ch’è nel nostro percepirle immobili e silenti, il ritratto, in tredici mirabili tavole di Gabriele Operti che, stravolgendo l’ansia classificatoria delle liturgie botaniche, esalta le loro inesistenze, dando forma patente a fisionomie e fisime caratteriali e assieme animando di metamorfiche psichedelìe strobili e rizomi, drupe e gemme, acheni, ventose, viticci.
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