Dentro le metafore universali di Ilya Kabakov
RITRATTI Addio al grande artista russo nato a Dnipropetrovs’k (Ucraina) e morto domenica a New York all’età di 82 anni. Nel 1985 aveva immaginato e costruito «L’uomo che volò nel cosmo dalla sua stanza»
RITRATTI Addio al grande artista russo nato a Dnipropetrovs’k (Ucraina) e morto domenica a New York all’età di 82 anni. Nel 1985 aveva immaginato e costruito «L’uomo che volò nel cosmo dalla sua stanza»
Bastava una stanza a Ilya Kabakov, il grande artista russo nato a Dnipropetrovs’k (Ucraina) e morto domenica a New York, per costruire le sue metafore universali. Una stanza: luogo chiuso, asfittico, dove si addensavano narrazioni senza prospettive, si trasformava con lui nel dispositivo dove far attecchire le sue utopie. Nel 1985, quando era ancora in Russia (l’avrebbe lasciata nel 1987) aveva immaginato e costruito un’opera dal titolo emblematico, L’uomo che volò nel cosmo dalla sua stanza. Uno spazio stipato di cose e con le pareti avvolte di proclami dalla propaganda sovietica. Erano gli anni della gara spaziale tra le due superpotenze, e Mosca aveva provveduto ad arruolamenti forzati di futuri astronauti, costringendoli a vivere in stanze anguste, fredde, senza servizi. Kabakov ne aveva reimmaginata e ricostruita una, immettendo però l’elemento imprevisto: un buco nel soffitto dal quale, come attesta il titolo e come strillavano i titoli dei giornali appesi fuori dalla stanza, il candidato alle missioni spaziali era decollato per conto suo. Di lui nella stanza restavano solo le scarpe, beffardamente lasciate sul posto. L’ignoto inquilino era dunque riuscito in ciò che nessuno di noi avrebbe mai pensato.
L’AZIONE ARTISTICA di Kabakov è un’azione che ogni volta squarcia situazioni precostituite e senza prospettive, proponendo sconfinamenti. Come scrive Lorand Hegyi in un testo davvero prezioso per addentrarsi nella poesia di questo grande artista, quando ci si trova davanti alle sue opere, «il mondo si apre e noi siamo invitati a seguire l’artista, a condividere i suoi vissuti, a entrare nel suo universo. E ci ritroviamo di fronte ad interrogativi semplici ma di importanza fondamentale: dove possiamo creare spazio per noi stessi? Qual è il luogo in cui possiamo vivere? Cosa ci appartiene? Dove siamo liberi? Dove possiamo essere felici?» (Tre maestri, Electa Pesci Rossi, 2019).
L’arte di Kabakov è un’arte che fa leva sempre sui meccanismi della narrazione: in questo emerge il sottofondo della sua cultura, influenzata dalla grande tradizione dei romanzi russi. Questa vocazione narrativa lo pone anche al centro del dibattito artistico attuale: tante delle figure più interessanti della scena di oggi sono felicemente debitrici nei confronti di Kabakov. Con il suo arrivo negli Stati Uniti si è contrapposto alla grammatica egemone della Minimal Art, così programmaticamente astorica e sganciata da ogni implicazione con problematiche sociali. Kabakov al contrario si muove da etnografo, da osservatore delle dinamiche concrete, con una sensibilità che gli permette di cogliere le implicazioni minime e più irrilevanti. Intercetta un’infinità di materiali e di frammenti di realtà che poi rimonta operando delle decontestualizzazioni tanto poetiche quanto rivelatrici.
NEI SUOI TESTI parla di «dissimulazione», un termine che suona anche come un’indicazione di metodo per chi si mette in relazione con le sue opere: il livello che conta è sempre quello implicito, mai quello esplicito, perché Kabakov lavora sempre su un piano evocativo non su quello della pretesa interpretativa. È nell’implicito che è custodito il dispositivo per evadere, per liberarsi dalla tristezza che tiene in ostaggio dentro la stanza, luogo senza prospettive. «Preparare con cura l’evasione e poi attuarla…», dice Kabakov, quasi a sintetizzare il senso profondo del suo operare artistico. Un operare che non prende mai toni ultimativi, ma lascia spazio all’ironia, alla tenerezza e anche alle illusioni: come quella del suo Happiest man (2000) che trova il suo angolo di felicità in un mondo di evasione perpetua rappresentato dalla magia del cinema.
L’annuncio della morte di Kabakov è stato dato dalla moglie Emilia, con la quale ha fatto coppia non solo nella vita ma anche nell’arte. «Grande artista, filosofo, marito amato, padre prezioso e nonno adorato», sono le parole messe sulla home del loro sito. Parole che ci restituiscono l’immagine di un uomo capace di uno sguardo affettuoso sulla vita privata come sul mondo. Ne è testimonianza la sua/loro Ship of Tolerance, fatta salpare nel 2005 a Siwa, in Egitto, e approdata in decine di altre città.
LE SUE MERAVIGLIOSE VELE sono realizzate cucendo insieme ogni volta i disegni di centinaia di ragazzi tra gli 8 e i 12 anni: un’evasione in direzione di una speranza condivisa. Non era la prima volta che Ilya Kabakov interloquiva con il mondo infantile. Nel 1984, con operazione corsara, era intervenuto su un libro sovietico destinato ai bambini e sotto i disegni di navi da guerra aveva messo la scritta in russo «andate a farvi fottere». Ne nacque un caso, ma l’artista non venne mai individuato come responsabile. In compenso quel disegno è diventato virale dopo che il 24 febbraio 2022 l’incrociatore Movska ha attaccato l’isola dei Serpenti nel Mar Nero. All’intimidazione ad arrendersi la guardia di frontiera ucraina aveva risposto, « Nave da guerra russa, vai a farti fottere».
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