Dentro la Milano dei «Perdenti» di Gianluca Ferraris
Noir Esce per Piemme la prima indagine dell’avvocato Ligas. Un romanzo che mostra come lo scrittore genovese sia in grado di cogliere l’essenza del crimine, spietato nella sua crudezza, terribile nella sua infamia, triste nella sua composizione umana
Noir Esce per Piemme la prima indagine dell’avvocato Ligas. Un romanzo che mostra come lo scrittore genovese sia in grado di cogliere l’essenza del crimine, spietato nella sua crudezza, terribile nella sua infamia, triste nella sua composizione umana
C’è una Milano spietata, città di contrasti dove il risvolto del patinato è l’anima dei suoi abitanti, e c’è un avvocato che la interpreta in pieno, che quasi si trasforma in essa mentre ingolla alcol e cerca la lucidità per tirare avanti. C’è un delitto e ci sono per lo più dei dannati che ci girano intorno. Gianluca Ferraris ha alle spalle una trilogia «gialla» (pubblicata da Novecento) e con Piemme ne I Perdenti, la prima indagine dell’avvocato Ligas (pp. 320, euro 19) si ripropone come scrittore in grado di cogliere l’essenza del crimine, spietato nella sua crudezza, terribile nella sua infamia, triste nella sua composizione umana.
I PROTAGONISTI del romanzo sono poliziotti falliti, alcuni non sanno neanche di esserlo come capita spesso ai falliti, un ex cantante pop che dopo aver vinto un Festivalbar con la canzone che diventerà la sua condanna vera, ben più temibile di quella che rischia nelle vicende narrate, finito a fare il pagliaccio in tv locali e poi a cantare nei matrimoni, due donne uguali e diverse tra loro. E poi c’è l’avvocato Ligas, l’antieroe di Ferrari che alla musica lirica preferisce la Settimana Enigmistica, il cui nozionismo si colora di metafora di vita, che alla buona cucina preferisce bere, qualsiasi cosa, e che alle storie passionali, d’amore contrito e complicato, quando non impossibile, preferisce quelle 2.0 di Tinder, casuali e da dimenticare subito dopo. Una totale contrapposizione agli ammiccanti protagonisti dei gialli che vanno per la maggiore.
ANCHE LIGAS appare un perdente, ma tutto l’almanacco di passioni letterarie dell’autore lo tinge di una durezza che diventa, infine, un’ancora alla realtà, alla figlia ad esempio, e alla capacità di provare sentimenti. La trama si delinea come una notte milanese, tra locali di impizzati e würstel freddi dei baracchini di San Siro, in una sorta di «circonvalla» che porta i protagonisti a girare intorno ad alcuni particolari via via macchiati da depistaggi talmente banali da risultare inizialmente poco credibili.
LA SIGNORA FLETCHER, del resto, lo insegna come funzionano i delitti e come funzionano le soluzioni dei crimini. E Ligas lo sa. Dietro l’evento che scatena l’indagine dell’avvocato (scaricato dai suoi soci di studio ben più rinomato delle sue peregrinazioni alcoliche) Ferraris staglia la sua poetica, quella composta di uomini e donne normali che loro malgrado si muovono sempre su un confine, tra il bene e il male, tra il giusto e lo sbagliato, tra la notte e il giorno. Perché in una Milano metafora di tempi sconnessi, ridicoli nel loro aspirare a un’aura che non c’è e non c’è da tempo, non c’è il bene, non c’è il male e non c’è il giusto o lo sbagliato. E la notte e il giorno si confondono, a tracimare in un surrealismo tragico la dura realtà della Milano «livida e sprofondata per sua stessa mano».
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