In un’epoca in cui la questione dei diritti delle donne nei paesi islamici è al centro dell’attenzione internazionale, il libro di Amira Ghenim La casa dei notabili (edizioni e/o, pp. 412, euro 19) giunge opportuno per far sentire le voci di chi quel dibattito ha vissuto e vive quotidianamente, al di fuori di una retorica astratta di chi ne parla da un mondo lontano. La trama, benché a prima vista imperniata su un fatto privato, uno «scandalo» che scuote due famiglie dell’alta società di Tunisi degli anni ’30, fornisce lo spunto per illustrare le condizioni della società del tempo e le dure lotte che già allora si combattevano, anche senza «incoraggiamenti» occidentali, per arrivare a un codice come quello tunisino odierno, molto avanzato sul fronte della laicità e dei diritti delle donne.

SI TRATTA, QUINDI, non solo di un’elegante opera letteraria – rimarchevole per raffinatezza di scrittura e intensità di approfondimento –, ma di un vero e proprio romanzo storico, le cui vicende si intrecciano in maniera inscindibile con la storia recente della Tunisia. Molti eventi della vita dei singoli personaggi sono scanditi dalla concomitanza con alcuni fatti salienti dell’epoca: manifestazioni per l’indipendenza, scontri con la polizia, arresti. Attraverso episodi disseminati nelle diverse narrazioni, si ha così modo di seguire un po’ tutta la parabola del movimento indipendentista, dalla fase dei «Giovani Tunisini, con «la battaglia di al-Zallaj che a quanto dicono è stata il primo violento scontro tra il popolo e l’apparato coloniale» (1911) alla nascita del partito del Destour (1920) e alla scissione del neo-Destour (1934).

I fatti storici che si incontrano nel corso dell’opera arrivano comunque fino al giorno d’oggi, comprendendo, ad esempio l’occupazione tedesca durante la guerra e le inquietudini successive all’indipendenza come la rivolta «del pane» sotto Bourguiba (1984), e quella «dei gelsomini» del 2011. In particolare, è un personaggio storico realmente esistito il protagonista principale, con cui la Tunisia moderna ha un grosso debito di riconoscenza che l’autrice ha voluto compensare con questo libro.
Il nucleo della storia risiede in uno scandalo familiare che ha coinvolto due personaggi: Zubaida, colta e inquieta rampolla degli ar-Rassa‘, e Taher al-Haddad, figura storica legata alle lotte sindacali e per l’emancipazione femminile in Tunisia, che fu tra i fondatori del sindacato Cgtt nel 1924 e autore di un libro, La nostra donna nella sharia e nella società (1930), che ai tempi fece scalpore e lo rese un reietto, ma fu poi alla base del codice della famiglia del 1957. Con un procedimento narrativo alla Rashomon, le vicende di «quella notte» vengono evocate attraverso le voci di una folla di personaggi, ciascuno con la sua visione parziale e incompleta degli eventi, anche in conseguenza del proprio vissuto, mentre i due protagonisti, i soli da cui ci si potrebbe aspettare di sapere come siano andate veramente le cose, tacciono.

QUESTO APPROCCIO non è però un espediente narrativo fine a sé stesso. Attraverso le parole dei diversi membri delle due famiglie di notabili al centro della storia, della servitù e di altre figure variamente implicate, da vicino o da lontano, in questa vicenda, si ha modo di conoscere nel dettaglio, con estrema finezza descrittiva, un’infinità di aspetti della vita quotidiana di Tunisi nella prima metà del Novecento. In primo piano, ovviamente, le due grandi famiglie evocate nel titolo, gli ar-Rassa‘, di tendenze più moderniste e liberali, e gli en-Neifer, dalla visione più bigotta e conservatrice; ma non mancano figure di ogni estrazione sociale: musulmani, ebrei, intellettuali, insegnanti, religiosi, schiavi da poco affrancati, bottegai, inservienti d’ospedale, prostitute, omosessuali, a comporre un mosaico che, lungi dal risultare frammentario e incoerente, è tenuto saldamente unito dal comune quadro di riferimento: la Tunisia negli ultimi anni del protettorato.

SONO INVECE sostanzialmente assenti i francesi, gli esponenti di quell’alterità ostile la cui presenza, pur continuamente evocata, rimane un’ombra nello sfondo e non dà mai luogo, nel romanzo, a incontri personali che in qualche modo facciano partecipare anche i colonizzatori delle vicende delle due famiglie. È una storia interamente tunisina, che si dipana secondo logiche tunisine anche quando si assiste a scontri frontali tra concezioni molto diverse della vita e del mondo.
È un peccato che la conoscenza che l’italiano medio ha di questo paese sia estremamente limitata, e perlopiù affidata a pochi stereotipi negativi sull’immigrazione nordafricana. Questo libro potrebbe essere un’ottima occasione per aprire gli occhi su di un mondo così vicino ma fino ad oggi così poco noto.

A FAR CONOSCERE da vicino il modo di vivere e di rappresentarsi il mondo della popolazione tunisina non sono soltanto i grandi eventi storici che si incontrano nel corso della narrazione, ma anche e soprattutto tanti minuti dettagli, le abitudini quotidiane, i modi di esprimersi, una moltitudine di dettagli antropologici che vanno dalle credenze e riti relativi ad entità metafisiche come i santi o i ginn alle azioni quotidiane di padroni e servitori.
Benché le varie voci differiscano anche notevolmente, per evidenti motivi legati alla diversa estrazione di ciascuno, balza agli occhi come tutti tendano sovente a giustificare le loro affermazioni con citazioni, vuoi di proverbi tradizionali, vuoi di poesie celebri o passi coranici e detti del profeta. Brevissimi inserti «letterari» (in gran parte di «letteratura orale») che punteggiano la lettura e contribuiscono anch’essi a tratteggiare, un po’ alla volta, il mondo dell’immaginario che impregna di sé le singole personalità, aiutando a capire le motivazioni che stanno dietro al loro agire.
Sarebbe però riduttivo considerare solo i meriti di questo libro come guida all’esplorazione di una società e di un mondo in evoluzione. Esso è innanzitutto un’opera letteraria di prim’ordine. All’eccellente qualità intrinseca del romanzo si accompagna l’ottima traduzione di Barbara Teresi, precisa ma elegante e tutt’altro che meccanica, che permette anche al lettore italiano di assaporare la bellezza della scrittura dell’autrice tunisina. Quest’ultima riesce a calibrare con arte le singole voci, calando con semplicità il lettore nel vissuto di ogni personaggio, con tocchi precisi ma mai didascalici o sopra le righe.

OGNI CAPITOLO contiene il monologo di un membro della famiglia o della servitù, che apre il proprio animo rivolgendosi a un altro, il che già in partenza fa emergere affinità e incompatibilità che costituiscono una parte della fitta rete di relazioni che uniscono tra loro tutti i partecipanti a questo grande affresco. L’unico degli interlocutori che non abbia svolto un ruolo attivo nelle vicende è il santo protettore di Tunisi, Sidi Mahrez, il solo cui possa confidarsi Fawziyya, a sua volta «corpo estraneo» di una famiglia che l’ha accolta come sposa solo per far tacere le voci di omosessualità di un suo membro.
A fare da cornice, nella breve introduzione e nel capitolo conclusivo, è Hind rappresentante dell’ultima generazione di questa saga familiare, una tunisina moderna, docente universitaria impegnata, come la nonna Zubaida, per l’affermazione della parità di genere, e in cui non è difficile scorgere un avatar letterario dell’autrice stessa. Pur all’interno di un’opera tutta tunisina l’autrice è consapevole che il maschilismo imperante nella società, contro cui si ribellavano i due protagonisti della vicenda, non è un tratto esclusivo della civiltà musulmana ma un retaggio patriarcale di tutta la società.

Emblematico l’episodio del padre ebreo che cede con indifferenza la giovane figlia sordomuta come seconda sposa al musulmano maturo ma ricco (il marito frustrato di Zubaida), una volta che questi gli assicuri una cospicua ricompensa in denaro. Il discorso provocatorio che Hind pronuncia nel fervore della «rivoluzione dei gelsomini» ricorda che «i veri nemici della parità tra uomo e donna non sono soltanto i tizi barbuti con indosso il caftano da talebani ma anche la maggior parte dei progressisti che (…) parlano di diritti delle donne e pari opportunità, ma quando entrano a casa loro e si tolgono giacca e cravatta svelano la loro natura, quella di maschilisti pieni di complessi di superiorità e fantasie di potenza».
Il lettore non saprà mai se l’affermazione vada intesa anche in senso biologico, ma è certamente vero ciò che Zubaida diceva alla sua nipotina: «Tu, Hind, sei la nipote di Taher al-Haddad».