Cultura

Dentro i Balcani, quella «condizione dell’anima»

Dentro i Balcani, quella «condizione dell’anima»

NARRAZIONI Frammenti e suggestioni letterarie nel libro di Angelo Floramo per Bottega Errante Edizioni

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 20 agosto 2024

Innamorarsi dei Balcani è una prerogativa di chi nasce diverso, straniero, apolide. Attraversarli, nell’arco di una vita, è la scelta inevitabile di chi i Balcani li deve assorbire fino in fondo alle ossa. Nasce da queste consapevolezze Breve storia sentimentale dei Balcani di Angelo Floramo (Bottega Errante Edizioni, pp. 255, euro 18), una raccolta di frammenti e memorie che instillano in chi legge il desiderio di andare a scoprire quelle terre scomposte, spesso contraddittorie e per molti anni dimenticate dall’Europa.

Non c’è nessuna pretesa di creare un trattato storico, soltanto il desiderio dell’autore che «il libro conservi in parte la magia di quei fantasmi sgranati, che con il tempo hanno preso ad assomigliarmi. O io a loro, piuttosto. Sempre più barbuto, malinconico, sanguigno e vagabondo. Sempre più balcanico. Ecco quello che sono diventato in tanti anni».

MOSTRARCI, insomma, come i Balcani, in tutta la loro complessità, possano diventare una «condizione dell’anima». Suddiviso in tre grandi capitoli, il libro parte con la narrazione di storie legate ai miti slavi che spaziano dalle tradizioni bulgare fino al cuore dell’Istria con il suo cerimoniale sacro dove la morte danza con la vita; Dracula ci viene finalmente svelato nelle sue sembianze più oneste, sviscerando gli stereotipi che l’hanno reso inaccessibile, proprio come quei Balcani visti dagli occhi degli occidentali. Medea e il mito degli Argonauti raccontano l’origine di quei Paesi, perché il viaggio verso il vello d’oro segna le stesse geografie che oggi chiamiamo Rotta balcanica.

Il cuore dell’opera poi ci porta dentro alla Storia che ha definito quelle terre, rivelate da personaggi dei luoghi: tutti alla fine donano all’autore, nei suoi ripetuti viaggi, pezzi autentici di vita, accompagnando il ritmo del racconto con il rito dell’accoglienza; baklava e rakja sono solo alcuni degli assaggi e dei profumi che Floramo riesce a farci sentire grazie all’eleganza della sua penna. L’ultimo capitolo è una riflessione sulla nostra contemporaneità, con uno sguardo brutale al Secolo Breve nelle guerre e nel sangue, nella violenza di genere e nella privazione delle proprie radici. Da Srebrenica alla prima lotta partigiana della Storia che appartiene alle donne slovene, capaci di difendere la loro lingua a costo della morte.

IN QUEST’OPERA, i Balcani diventano una confessione esistenziale, nella quale ancora oggi l’autore non trova risposte ma continue domande. Ce lo conferma uno dei passaggi finali con una riflessione sulla condizione della permanenza, così irraggiungibile dalla Storia tanto quanto dalle anime sradicate che appartengono a quelle terre: «Dopotutto siamo solo vento. E voce che canta. Malinconia che cerca l’ebrezza. Siamo ammalati di nostalgia senza speranza di guarigione, partiamo in continuazione, allontanandoci da tutto ciò che amiamo davvero, chissà poi perché. Abbiamo bisogno di percepire, sempre, una fitta di dolore».

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