Dentro alla foresta capovolta
Intervista Un incontro ai Giardini con l'artista di Hiroshima Takahiro Iwasaki, scelto per rappresentare il suo paese alla Biennale di Venezia. «Sono affascinato dal processo di mutazione - ciclo e riciclo - di tutti gli oggetti. Come quando si muore: si va nella terra e si diventa parte dell’albero che nasce in quella stessa porzione di terra»
Intervista Un incontro ai Giardini con l'artista di Hiroshima Takahiro Iwasaki, scelto per rappresentare il suo paese alla Biennale di Venezia. «Sono affascinato dal processo di mutazione - ciclo e riciclo - di tutti gli oggetti. Come quando si muore: si va nella terra e si diventa parte dell’albero che nasce in quella stessa porzione di terra»
Un paesaggio sottosopra delicato e fragile – anche un po’ stropicciato – è il panorama visionario che accoglie il visitatore nel padiglione del Giappone ai Giardini della Biennale, in occasione della 57/ma mostra internazionale di Venezia (fino al 26 novembre) che la Japan Foundation ha affidato all’artista Takahiro Iwasaki (Hiroshima 1975), presente in numerose esposizioni internazionali tra cui Biennale di Lione 2009 e Triennale di Yokohama 2011.
Lenzuola, asciugamani, calze, libri e riviste, insieme a fettucce segnalibri shiori (sfilate appositamente per creare modellini di gru), bento box, plastiche e legno di cipresso giapponese hinoki: oggetti del quotidiano defunzionalizzati che acquisiscono una nuova identità nella mostra Turned Upside Down, It’s a Forest (Capovolta, è una foresta), a cura di Meruro Washida. Oggetti che hanno molto in comune con quelli conservati nel Memoriale della Pace di Hiroshima, che quindi assorbono e riflettono il vissuto dell’artista in rapporto alla storia della sua città.
Incertezza e precarietà, ma anche una straordinaria perizia nel definire il rapporto micro/macro con cui si evidenzia anche un’affinità elettiva Giappone/Venezia. L’acqua è l’elemento comune: Iwasaki la rappresenta metaforicamente, alludendo alle sue caratteristiche positive e negative di splendori e disastri quando, ad esempio, nell’opera Reflection Model (Lapis Lazuli) costruisce con abilità e pazienza il modello ligneo a pagoda del Ruriko-ji (Tempio dei Lapislazzuli) di Yamaguchi (dista 100 chilometri da Hiroshima) con i suoi cinque piani che si raddoppiano in una proiezione-mimesis delle acque che incorniciano il santuario.
Lei preferisce essere definito artigiano più che artista…
Oggi l’arte rientra nel processo di esternalizzazione, nessuno fa le cose da sé. A me, invece, piace fare le cose da solo. Fin da piccolo ho sempre ho avuto una grande manualità: per esempio, con i fogli di carta che non servivano più, realizzavo piccole opere.
C’è anche un legame profondo con la tradizione degli «origami»?
Sì, si può dire così. Sono nato a Hiroshima dove c’è la grande tradizione degli origami a forma di gru, orizuru (l’artista si riferisce alla leggenda delle mille gru – Senbazuru – che s’intreccia alla storia di Sadako Sasaki, la bambina di Hiroshima sopravvissuta alla bomba atomica, a causa della quale fu colpita da una grave forma di leucemia; nei lunghi tempi trascorsi in ospedale durante la terapia, Sadako realizzava orizuru con l’obiettivo di farne mille, come voleva la leggenda, affinché i suoi desideri fossero esauditi. Non riuscì nel suo intento e morì nel 1955, ma a sua memoria ogni anno i bambini giapponesi depongono migliaia di collane di origami vicino alla sua statua nel Memoriale della Pace di Hiroshima, ndr.). Uso anche altri materiali, come i fili ottenuti sfilando gli asciugamani o i calzini, per intrecciare tralicci e altre cose. Anche quando uso la plastica, ad esempio riciclando quella del bento, il vassoio-contenitore per il pranzo, penso a come trasformarla in un materiale che posso modulare a mio piacimento. Dopo averla trasformata in fogli, gli conferisco una nuova forma.
La carta è presente anche nell’opera «Tectonic Model (Flow)» realizzata ammucchiando un insieme di libri in posizione precaria. L’immagine rimanda a un’idea di delicatezza, deperibilità, ma anche di grandissima forza, proprio attraverso la parola scritta…
Adoro la carta e la sua consistenza fisica. La colloco sempre lungo un’immaginaria linea del tempo, anche prima della sua trasformazione in carta. Penso all’albero e mi viene in mente che quando piove l’albero è felice, però è felice anche la carta perché assorbe l’acqua e si gonfia. Sono affascinato dal processo di mutazione – ciclo e riciclo – di tutti gli oggetti. Come quando si muore: si va nella terra e si diventa parte dell’albero che nasce in quella stessa porzione di terra. È quel che accade anche con l’origami, perché da un solo foglio riesco a produrre tante forme, attraverso un fare e disfare perenne.
A proposito di ciclicità. È inevitabile parlare della dimensione temporale all’interno del suo lavoro che non è mai immediato, ma frutto di grande riflessione e di tanto tempo per la realizzazione…
Credo che il mio concetto del tempo affondi le sue radici nella storia di Hiroshima. In Reflection Model c’è sicuramente la cristallizzazione dell’attimo. Come tutti gli altri abitanti di Hiroshima, anche io vivo l’ossessione di fissare l’attimo. Tutti sappiamo che il 6 agosto 1945 alle 8 e 15 è esplosa la bomba atomica, quindi c’è questa tacca nella linea del tempo che ci permette di pensare a momenti ben definiti. Spesso si immagina il tempo come qualcosa in divenire, invece noi guardiamo alla cristallizzazione di dati momenti: è questo ciò che esprimo nelle mie opere. È lo stesso concetto dell’istante per cui, nel secondo stesso della deflagrazione, Hiroshima è cambiata da città di guerra, come era stata fino ad allora, a città di pace.
Nell’opera «Out of Disorder (Turned Upside Down, It’s a Forest)» troviamo anche la miniatura della Chiesa di Santa Maria della Salute. Qual è la sua relazione con il tempio di Yamaguchi che vediamo nell’opera «Reflection Model (Lapis Lazuli)»?
In Out of Disorder (Turned Upside Down, It’s a Forest) c’è lo spazzolone con cui pulivamo il marmo del padiglione! È un’opera che ho realizzato direttamente in loco. In Giappone non esiste nulla del genere: l’idea mi è venuta vedendo fare le pulizie. Più il pavimento di marmo veniva spazzolato e più diventava lucido, facendomi pensare all’acqua. Per caso rigirando lo spazzolone mi è venuto in mente che le setole potessero somigliare ai pali su cui poggia Venezia. Così, ho nuovamente rigirato la situazione, facendo emergere dall’acqua i pali e realizzando con i fili dello straccio per pulire a terra il modellino del luogo che mi attrae particolarmente.
Ho voluto offrire questo omaggio alla città di Venezia attraverso un capovolgimento. Nel catalogo c’è una citazione di Tiziano Scarpa da Venezia è un pesce, fonte d’ispirazione anche per il titolo della mostra: «Stai camminando sopra una sterminata foresta capovolta, stai passeggiando sopra un incredibile bosco alla rovescia».
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