Nel 1983 sono passati sessanta anni dall’uccisione di Pancho Villa, eroe discusso della rivoluzione che proprio nel 1923 si era candidato, con buone possibilità di vittoria, alle elezioni presidenziali. In Messico il suo è un ricordo sbiadito, un impasto di storia scomoda e mitologia difficile da spiegare e raccontare. Ma soprattutto quella di Pancho Villa resta una figura rivoluzionaria capace di accogliere rivendicazioni e ostilità verso il potere imperante. All’interno di questo contesto prende corpo il bel romanzo di Pino Cacucci, abile e raffinato frequentatore di storie americane e traduttore, tra gli altri di Paco Ignacio Taibo II, autore di una delle più belle biografie dedicate a Pancho Villa.

Dieguito e il Centauro del Nord (Mondadori, pp. 180, euro 18,50) di Cacucci ha la forma di un racconto nel racconto, quello che con tratti favolistici, ma precisi si svolge a Chihuahua narrato dal nonno della piccola Adelita, curiosa di quel tempo in cui proprio il nonno frequentò bambino Pancho Villa, il mitico Centauro del Nord.

«DIEGUITO E IL CENTAURO del nord» tiene così insieme storia e mitologia popolare e lo fa con gli strumenti di un racconto generazionale che dal nonno viene trasmesso alla nipote in un fluire quasi naturale dentro al quale s’intrecciano vite pubbliche e biografie private, lessico famigliare e narrazione storica.

Un racconto mai banale e che anzi coglie gli aspetti struggenti ed eroici che di volta in volta riguardano un fatto storico come un’azione magari intima e minima, un pensiero privato o un gesto che esemplifica con plastica profondità il senso di un’amicizia. Lo sguardo è quello incantato di Dieguito, il nonno allora bambino che soccorre un Pancho Villa ferito, ma lo sguardo è anche quello di Adelita in un confronto che vede lei e Dieguito sul medesimo piano narrativo.

Uno stratagemma efficace che l’autore utilizza abilmente riuscendo così a raccontare una storia complessa in maniera sia chiara quanto avvincente. E che alla fine restituisce alla parola mitico un contesto adeguato perché la figura infinitamente interpretabile di Pancho Villa ha oggi la sua collocazione ideale proprio nel romanzesco, in quell’impasto di storie, storia e favolistico che ne disegna al meglio i contorni.

CACUCCI SALTA COSÌ ogni possibilità di semplificazione come banalizzazione del mito, utilizzandolo quale strumento efficace nelle sue varie sfaccettature per dare corpo ad una narrazione inedita che è anche racconto di un paese e dei suoi ultimi quarant’anni.

Un passaggio che il romanzo effettua attraverso gli occhi di Adelita, mostrando come la forza di un mito sta nell’impatto che ha nella vita semplice e al tempo stesso complicatissima delle persone; in quella capacità, tutta rivoluzionaria di aprire visioni e possibilità che sono l’opposto di parodistiche riduzioni esistenziali che impediscono ogni forma possibile di sogno. Un movimento alternato che fa incrociare la vita di Dieguito con quella di Adelità proprio nel punto di equilibrio dato dal sogno, dove i ricordi di lui s’intrecciano con il futuro di lei.