Denis Johnson, eleganza dell’illogica
Scrittori americani Terminato poco prima di morire, «La generosità della sirena» dà il titolo a una raccolta di cinque racconti, che inseguono vite sghembe, indirizzate a una silenziosa catastrofe: da Einaudi
Scrittori americani Terminato poco prima di morire, «La generosità della sirena» dà il titolo a una raccolta di cinque racconti, che inseguono vite sghembe, indirizzate a una silenziosa catastrofe: da Einaudi
E’ sufficiente leggere la prima delle sezioni nelle quali è suddiviso «La generosità della sirena», il racconto che dà il titolo all’ultima raccolta di Denis Johnson – cui l’autore ha lavorato fino a poco prima di morire – per ritrovarci immersi nel mondo di uno degli scrittori più intensi e «irregolari» della letteratura americana contemporanea, capace di raccontare la solitudine, la marginalità, la devianza senza la minima traccia di moralismi o sensazionalismi, calandosi con lo scandaglio nel cuore dei suoi personaggi e nella loro discesa agli inferi.
Alcune persone, sedute nel soggiorno di una casa, cominciano a descrivere a turno il rumore più forte che abbiano mai sentito, fino a quando «il giovane Chris Case» inverte il tema della discussione e introduce «l’argomento dei silenzi». «Disse che la cosa più silenziosa che avesse mai sentito era la mina che gli aveva portato via la gamba destra vicino a Kabul, in Afghanistan». Il commento del narratore – che, scopriremo di lì a poco, è un pubblicitario ormai quasi in pensione e al terzo matrimonio, dopo che i primi due sono falliti entrambi per le sue ripetute infedeltà e in modo così simile che, quando riceve la telefonata della ex moglie morente e in cerca di pacificazione, non capisce di quale delle due si tratti – è illuminante: «Nessuno contribuì con altri silenzi. Di fatto, ne cominciò uno in quel momento. Alcuni di noi non si erano accorti che Chris aveva perso una gamba. Zoppicava, ma in modo quasi impercettibile. Io non sapevo nemmeno che avesse combattuto in Afghanistan».
Tutti in prima persona
Quando una tra i presenti, Deirdre, chiede di poter vedere la gamba mutilata, Chris si offre di mostrargliela a condizione che la ragazza gliela baci. Deirdre non vuole, e il narratore osserva: «Anche se nessuno di noi lo mostrava, credo che fossimo tutti un po’ irritati con Deirdre. Volevamo vedere». La sezione si conclude così: «Il risultato fu che, circa sei mesi dopo, Chris e Deirdre si sposarono, con rito civile, in presenza dello stesso gruppo di amici, uno più uno meno. Sì, ora sono marito e moglie. Io e voi sappiamo come va».
Come va, dunque? Qual è la logica che presiede a una cena di persone che sembrano non conoscersi tra loro, e che trascorrono il tempo evocando prima rumori e poi silenzi? E che induce due di queste persone, dopo un incontro-scontro, a sposarsi, dopo neanche sei mesi? A queste domande, i cinque, superbi racconti che compongono La generosità della sirena (traduzione eccellente di Silvia Pareschi, Einaudi, pp. 156, e 18,00) non forniscono in realtà una risposta. Perché della logica che si pretende regoli le umane esistenze e la loro traiettoria Johnson non si cura mai: preferisce inseguire vite sghembe, contraddittorie, traversate dalla solitudine, dal progressivo precipitare verso una silenziosa catastrofe. Se il pubblicitario del primo racconto rivela – anche a se stesso – la propria solitudine attraverso l’opacità e la vanità degli incontri che scandiscono le sue giornate, la medesima dispersione di sé caratterizza le voci narranti dei successivi racconti (tutti in prima persona): l’alcolizzato Mark Cassandra, che in «Lo Starlight sulla Idaho» continua a scrivere lettere deliranti a parenti e medici, a Dio e a Satana, dalla Comunità di Recupero nella quale è rinchiuso; il diciottenne che, in «Bob lo strangolatore», finisce in carcere per disturbo della quiete pubblica e atti vandalici ed è costretto ad assistere ai rituali di violenza che regolano la vita in galera; lo scrittore che, in «Trionfo sulla morte», si trova a dover fare i conti per tre volte con la malattia e la morte; il poeta e docente che, in «Doppelgänger, poltergeist», insegue per una vita intera le imprese folli del talentuoso allievo Marcus Ahearn, convinto che a Graceland non sia sepolto il vero Elvis Presley, ma il fratello gemello.
Scrivere, un affare non costoso
Risuona a tratti, in queste cinque gemme, il secco, disperato lirismo dei racconti di Jesus Son – la grande raccolta «tossica» con la quale Johnson ha conquistato la fama – o di Angeli, il suo romanzo d’esordio, che aveva indotto la critica ad accostarlo al realismo sporco di maestri come Richard Ford o Raymond Carver. In altri momenti, la narrazione vira verso toni grotteschi e survoltati, più vicini a quelli praticati nell’ancora inedito Already Dead o nei Mostri che ridono – storia di ambientazione africana che è stata definita, non a torto, un Cuore di tenebra aggiornato ai nostri tempi.
Mai però come in quest’ultima opera traspare così limpidamente quella poetica profonda, quel tocco personale che ricorre sistematicamente in tutti i libri di Johnson, che si tratti di polizieschi, distopie, romanzi di guerra o racconti «tossici». Se nella narrativa bellica e di spionaggio o nel noir le complessità dell’intreccio sono quasi sempre funzionali all’esplorazione del confine via via più labile che separa il bene dal male, l’innocenza dalla corruzione, in Johnson i due corni del dilemma coesistono inestricabili in ognuno dei suoi personaggi: le loro azioni restano spesso inspiegabili, i loro volti e le loro disperazioni avvolti in un velo opaco che l’autore si limita a mostrare e descrivere con inarrivabile eleganza, senza mai distendere il racconto verso facili risposte.
Così, in «Trionfo sulla morte», lo scrittore e voce narrante descrive il proprio mestiere: «Scrivere. È un lavoro facile. L’attrezzatura non è costosa, ed è un’attività che si può svolgere ovunque. Decidi tu gli orari, gironzoli per casa in pigiama, ascolti dischi jazz e bevi caffè mentre un altro giorno scappa via. (…) Qualunque cosa ti succeda, la metti sulla pagina, le dai una forma, la interpreti in un certo modo. Di fatto non è molto diverso dal riprendere una sfilata di nuvole in cielo e definirlo un film – anche se bisogna ammettere che le nuvole possono venire giù, trascinarti via e portarti in posti di ogni tipo, alcuni terribili, e poi per anni e anni non riesci a tornare indietro». Difficile trovare una dichiarazione di poetica più onesta: per tutta la sua carriera di scrittore, segnata da un costante sradicamento, Johnson ha fatto proprio questo, in fondo. Si è lasciato trascinare dalle nuvole in posti di ogni tipo, anche a rischio di non poter tornare indietro. Fino al momento ultimo e definitivo, affidato alla frase con cui si conclude «Trionfo sulla morte»: «Pazienza. Il mondo continua a girare. Per voi è ovvio che, mentre scrivo queste parole, non sono morto. Ma forse lo sarò quando le leggerete».
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento