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Demolite 12 case a Qalandiya, erano «abusive» per l’occupante israeliano

Demolite 12 case a Qalandiya, erano «abusive» per l’occupante israeliano

Demolizioni I bulldozer israeliani hanno abbattuto abitazioni costruite a ridosso del Muro lasciando più di venti famiglie senza un tetto. E' vertiginoso l'aumento delle demolizioni di case palestinesi, con il pretesto della loro "illegalità". E nel frattempo le colonie israeliane, vietate dalle leggi internazionali, continuano ad espandersi

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 28 luglio 2016

Questa parte di Qalandiya ora assomiglia a Gaza, con quei 12 edifici rasi al suolo o demoliti in gran parte dai bulldozer israeliani entrati l’altra notte nel villaggio, indistinguibile dal campo profughi che porta lo stesso nome. Cumuli di macerie alle quali si avvicinano bambini, curiosi, giornalisti, chi una casa ce l’ha ancora, chi teme di perderla allo stesso modo e qualche pendolare tra Ramallah e Gerusalemme che viene a dare uno sguardo veloce a quelle rovine prima di entrare nelle porte girevoli del vicino posto di blocco israeliano. I proprietari delle abitazioni abbattute non ci sono, almeno così ci dicono. «Non li vedi qui in giro perchè hanno paura, temono di dover pagare (agli israeliani) le spese per la demolizione delle loro case. È già accaduto da altre parti e si tengono a distanza», ci spiega un signore sulla cinquantina che si presenta solo con il nome, Ahmed. Forse è uno di quelli che hanno perduto la casa e lo nasconde. «L’altra notte – aggiunge – alcuni (dei proprietari delle case demolite) hanno detto ai soldati di aver inoltrato la richiesta di permesso edilizio, hanno mostrato tutte le carte che avevano, non è servito a nulla».

La tensione è alta, si avverte nell’aria. I presenti parlano a voce bassa mentre a poche decine di metri regna il frastuono incessante del posto di blocco intasato di auto. Pare che i militari israeliani siano intenzionati ad avviare retate nel villaggio e nel campo profughi dopo che l’altra notte decine di shebab palestinesi hanno affrontato i bulldozer con nutriti lanci di pietre nel vano tentativo di fermare le demolizioni. I feriti sono stati una decina, tra questi ci sono anche Youssef Awadallah, responsabile per il consiglio amministrativo di Qalandiya, e, ci dicono, un ragazzo di 14 anni. Sul terreno ci sono i segni della «battaglia»: candelotti di gas lacrimogeni, proiettili rivestiti di gomma, i resti di pneumatici dati alle fiamme.

Le autorità israeliane avevano emesso ordini di demolizione per quelle 12 case tirate su con pochi soldi, senza il permesso edilizio che costa troppo e si rischia di aspettarlo inutilmente per anni. Ad aggravare la “colpa” dei proprietari è stata anche la vicinanza di quelle abitazioni al Muro di separazione costruito arbitrariamente da Israele. L’area di Qalandiya in gran parte è “Zona C”, il 60% della Cisgiordania sotto il pieno controllo di Tel Aviv. In questa porzione di terra palestinese riuscire ad ottenere il via libera a nuove costruzioni, anche per un muretto, è una mission impossible. Tra il 2010 e il 2014 le autorità militari hanno approvato solo 33 delle 2020 richieste presentate dai palestinesi. Per tanti l’unica soluzione è fare a meno dei permessi, se si vuole dare un tetto a un figlio che si sposa o aggiungere una stanza a una casa troppo piccola per una famiglia che cresce.

Israele lotta senza sosta contro «l’illegalità edilizia» dei palestinesi, permettendo allo stesso tempo che ogni anno siano costruite migliaia di case per i coloni che vivono in insediamenti ebraici sorti nella Cisgiordania occupata in aperta violazione delle leggi internazionali. Il governo Netanyahu, composto da formazioni della destra radicale, ha fatto della guerra all’«abusivismo» palestinese un pilastro del suo programma politico. L’altro giorno sono state demolite anche cinque case a Issawiyeh, ai piedi del Monte degli Olivi. I dati pubbicati ad aprile dalle Nazioni Unite hanno rivelato un aumento di quattro volte rispetto allo scorso anno del numero di demolizioni. Nella prima metà del 2016 sono state rase al suolo più abitazioni palestinesi che nell’intero anno precedente, aggiunge il centro israeliano per i diritti umani B’Tselem. 168 demolizioni, nell’intero 2015 erano state 125. Sono avvenute in particolare nella Valle del Giordano e nella zona di Hebron, due delle aree dei Territori occupati dove maggiormente si espandono le colonie israeliane. Le altre demolizioni hanno riguardato Gerusalemme Est, dove proprio ieri stati annunciati appalti per 323 appartamenti in quattro colonie ebraiche: Gilo, Neve Yaacov, Pisgat Zeev e Har Homa.

I razzi anticarro israeliani hanno distrutto martedì notte a Surif (Hebron) anche un’altra casa, di proprietà di Muhammad Ali al Heeh, dove si nascondeva un palestinese, Mohammed Faqih, accusato di aver ucciso qualche settimana fa Michael Mark, un rabbino-colono. Rispolverando una pratica diffusa negli anni passati, quando al Faqih si è rifiutato di arrendersi sono entrati in azione prima i bulldozer e poi i razzi. Il ricercato – che secondo il portavoce militare aveva aperto il fuoco contro i soldati – è stato ritrovato morto ieri all’alba tra le rovine della casa.

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