Democrazia sospesa. Per il Censis tristi passioni crescono
Il 55° rapporto Paura, depressione, irrazionalità dopo 2 anni di pandemia e la speranza avventurosa in una politica dall’alto
Il 55° rapporto Paura, depressione, irrazionalità dopo 2 anni di pandemia e la speranza avventurosa in una politica dall’alto
Nel 55° rapporto presentato ieri al Cnel dal Censis si parla di un paese impaurito dalla crisi innescata dalla pandemia con due milioni di famiglie in povertà assoluta, e un milione di poveri in più nel 2020, mentre solo il 27,8% degli interpellati considera le risorse stanziate dal «Piano di ripresa e resilienza» (Pnrr) elementi in grado di garantire occupazione e sicurezza economica.
È IL RACCONTO di una società dove si ritiene che le classi sociali siano scomparse, salvo una, la classe media impoverita e senza identità, il cui patrimonio continua a ridursi mentre permane un gap salariale non solo tra donne e uomini, ma anche tra under30 e over45 e tra contratti fissi e a termine. In questa società, dove il conflitto di classe è stato inteso come un’opposizione individuale, categoriale o corporativa tra classi che non hanno una coscienza di classe, l’assenza di un Welfare universalistico è supplita dalle pensioni degli anziani che fanno «il bancomat» per «figli e nipoti».
***Censis: l’uso della ragione per spoliticizzare i conflitti sociali
I BASSI SALARI, il precariato di massa e una sanità sperequata a livello regionale sembrano avere fatto crescere crescita le famiglie in cui coesistono genitori, figli e nonni. Tra il 2019 e il 2020 si contano 443 mila nuclei monogenitoriali con almeno un pensionato, aumentati in dodici mesi di 18 mila unità (+4,1%), a fronte di un calo nel periodo 2010-2019 di 36 mila unità (-7,8%). Lo chiamano «Silver Welfare». In realtà è un altro modo per usare le pensioni come un ammortizzatore sociale in assenza di tutele incondizionate e individuali.
CHI HA PAGATO il prezzo più salato sono stati, come sempre, le donne e i giovani. Tra il 2019 e giugno 2021 sono state 421 mila le donne ad avere perso o non avere trovato un lavoro. La retribuzione per una donna è inferiore del 18% rispetto alla media, mentre quella di un uomo è del 12% superiore. In base all’età dei lavoratori emerge una differenza di 45 euro tra un under 30 anni e un over 54. In queste condizioni si capisce perché solo il 15,2% degli interpellati pensa che dopo la pandemia la propria situazione economica sarà migliore. Per quasi uno su tre peggiorerà.
QUESTA PERCEZIONE è l’effetto di una politica economica. Il drastico ridimensionamento delle tutele del lavoro, ad esempio quelle contro i licenziamenti, non ha portato all’aumento dell’occupazione, ma a un effetto depressivo sulla domanda aggregata. L’altro aspetto, strettamente collegato, è l’istruzione. Nel rapporto emerge la sfiducia dei giovani nelle sue possibilità emancipatrici. A cosa serve studiare se comunque le paghe sono da fame? Mentre il mercato del lavoro è stato tarato sui bassi salari, tutte le «riforme» che hanno cercato di trasformare l’istruzione in un mercato della formazione just-in-time sono fallite. È rimasta la situazione descritta dal Censis: quasi un terzo degli occupati possiede al massimo la licenza media. Anche tra i poco meno di 5 milioni di occupati di 15-34 anni quasi un milione ha conseguito al massimo la licenza media, 2.659 milioni hanno un diploma (54,2%), 1.304 milioni sono laureati (26,6%). Considerando gli occupati con una età di 15-64 anni, la quota dei diplomati scende al 46,7% e quella dei laureati al 24,0%. Sono i dati tra i più bassi in Europa, effetto combinato della rinuncia a una politica sociale, oltre che di una industriale.
IL GIOCO dell’immaginario imbastito, a reti unificate, sull’acronimo impronunciabile «Pnrr» ricco di dobloni è stato usato per smuovere questo mondo mostrandogli un orizzonte ideale verso il quale proiettarsi. Il Censis rappresenta questa operazione, in maniera avventurosa, come «un cronoprogramma serio, non importa se dettato dai vincoli europei». Questi «vincoli» contano eccome, e sono così stringenti (sulla carta) da fare rimpiangere l’austerità permanente, dimenticata dalla retorica di dichiarare l’inizio di epoche nuove che, in realtà, replicano in peggio le vecchie. Sembra che la transizione (eco-digitale ecc.) dipenda dalla «politica» alla quale è chiesta una funzione di guida, e non l’«acquietamento di pensiero»
COME SE LA SOCIETÀ, anestetizzata dall’uso politico del complottismo, resterà per sempre subalterna. E ipnotizzata dai talk show.
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