Deluso dalle terre equatoriali, Gide si consola con i classici
Scrittori francesi «Viaggio al Congo», ritradotto da Marsilio
A caccia di farfalle nei territori equatoriali, André Gide insegue con il suo retino le specie più rare e più belle, che fatalmente gli sfuggono perché subito si confondono nella giungla e tornano a far parte di una natura che non riesce a decifrare. Una nuova e efficace versione del classico Viaggio al Congo viene ora riproposta da Marsilio, (a cura e con una prefazione di Giordano Tedoldi, pp. 251, € 16,00), resoconto di un lungo itinerario affrontato dallo scrittore francese nel 1925, ufficialmente come incaricato di missione del ministero delle colonie, cui rende un analitico rapporto, appena tornato, nel 1926. Alla figura pubblica del reporter, si lega in modo complesso e contradditorio quella dello scrittore che utilizza ogni momento del viaggio per analizzare usi e costumi, per lasciarsi folgorare dalla giungla o per apprezzare le qualità cinematografiche di un tramonto.
Resta, come Tedoldi giustamente sottolinea, l’estraneità nei confronti dei popoli incontrati, che si acuisce quando il loro comportamento non è in grado di corrispondere alle aspettative europee: «soprattutto – scrive Gide – mi rendo conto che è impossibile prendere contatto con alcunché di reale; non che tutto sia artificiale, ma si frappone lo schermo della civilizzazione e tutto quello che passa è filtrato». Il viaggio è una sequenza di magnifici o terribili sfondi visti da un battello o da altri mezzi di locomozione, sempre a distanza di sicurezza, come «uno sfondo distante e appena reale». Basso continuo della vicenda, come un fil rouge color sangue, lo sfruttamento intensivo delle risorse messo in atto da speculatori senza scrupoli, con il sostegno o almeno grazie alla noncuranza del governo, che non tutela gli interessi delle popolazioni.
Secondo Gide, proprio questi traffici dovrebbero essere oggetto di indagine, allo scopo se non altro di comprendere a chi siano andati gli abnormi guadagni derivati dalla costruzione delle ferrovie, o dalle materie prime, con relative truffe. Assai poco abile nello svolgere la sua pubblica mansione, Gide gira intorno al tema dello sfruttamento, senza tuttavia esplicitarne gli orrori come aveva fatto a suo tempo Multatuli in Max Havelaar per quanto riguarda l’Indonesia olandese.
Mentre ciò che non dimentica è la giovinezza all’ombra di Oscar Wilde, insiste in più e più casi su quanto l’esperienza vissuta lo deluda, che si tratti di una giungla o di un’altra espressione della natura trionfante. Ogni siesta forzata, nel furore del caldo umido, al riparo dai temporali, è dedicata ai classici, alternando il piacere di riscoprire il Cinna di Corneille al Misantropo di Molière, il cui soggetto gli sembrerebbe più adatto a venire reso in forma di romanzo piuttosto che di teatro. Compiuto il lungo programma di incontri e di visite, il ritorno verso l’Europa prende avvio dal Ciad, dove da poco è stata introdotta la libertà commerciale, mettendo in crisi gli indigeni, che difettano perciò – scrive l’autore – «di misura e di giudizio».
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