Graziano Del Rio è il nuovo ministro delle Infrastrrutture. Indicato da Renzi come sostituto di Maurizio Lupi nella riunione del governo a metà pomeriggio, è salito al Colle per giurare alle 20. Nella stessa riunione è stato nominato prefetto di Roma Franco Gabrielli, capo della protezione civile, indicato da Alfano ma graditissimo al premier e non solo perché toscano (il che, comunque, non guasta). Altri nomi per ora non ce ne sono.
Il nuovo sottosegretario alla presidenza del consiglio potrebbe essere nominato già oggi, al più tardi martedì. Pare che Antonella Manzione, la vigilessa di fiducia, abbia perso posizioni e che il posto potrebbe andare a qualcun altro. Ma se c’è incertezza sui nomi, l’identikit del prossimo sottosegretario è definito: dovrà godere della piena fiducia sia di Renzi che di Maria Elena Boschi. In partenza il sottosegretariato era destinato proprio a lei, ma con l’Italicum in ballo sostituire la ministra delle riforme era fuori discussione. In compenso chiunque prenderà il posto di Delrio dovrà rispondere a lei oltre che al gran capo, e questa è la carta che può ancora giocare la Manzione, vicinissima alla ministra.

Tutto in alto mare anche per quanto riguarda il ministero degli affari regionali, premietto di consolazione da assegnare col dovuto disprezzo all’Ncd. I nomi in ballo, al momento, sono tre: Dorina Bianchi sarebbe stata indicata ufficialmente dallo stato maggiore del partito, ma è solo uno scherzo. Considerata renzianissima, la Bianchi potrebbe diventare ministra solo se imposta con le cattive da Matteo. Gli altri nomi sono quelli di Federica Chiavaroli e di Valentina Castaldini, portavoce nazionale dell’Ncd. Tutte donne, come voleva Renzi, ma soprattutto tutti nomi che, pur non essendo già conquistati da palazzo Chigi, non dovrebbero metterci troppo a passare armi e bagagli alle dipendenze del premier. Non è detto che all’ultimo momento non rispunti Quagliariello, tanto più che Cicchitto chiedeva ieri sera «una pausa di riflessione», e di quelle lunghette. Ma anche se Alfano riuscisse a conquistare davvero e non solo in apparenza il ministero, la situazione cambierebbe pochissimo: don Matteo non ha alcuna intenzione di lasciare a quel dicastero la sostanza, cioè i fondi europei per il Mezzogiorno.
Tutto il Pd ha plaudito alla nomina di Delrio, «il miglior ministro possibile» come lo definiscono in molti. Persino il defenestrato Lupi largheggia in complimenti. Nel tripudio generale tutti o quasi fanno finta di non accorgersi che Renzi sta accumulando nelle sue mani, o in quelle dei fedelissimi, più potere di quanto ne abbia mai avuto nessuno nella storia repubblicana, e per la verità pochini anche prima: nemmeno a fare un paragone con Berlusconi, che per vent’anni aveva dovuto mediare davvero con tutti. Il giro di valzer in corso consegnerà direttamente a Lotti una parte delle competenze del ministero che fu di Lupi e delle altre si occuperà un neo ministro che, nonostante qualche tensione con Renzi, resta forse l’uomo a lui più vicino. I fondi europei per il Sud, salvo colpi di scena, finiranno anche loro sotto il controllo di palazzo Chigi. A Roma, la nomina di Gabrielli permetterà a Renzi di esercitare pieno controllo anche sulla capitale.

Una simile concentrazione di potere non si era mai vista. A renderla possibile è soprattutto l’inesistenza di qualsiasi opposizione, interna o esterna alla maggioranza. Fi è in fase di dissolvimento. Nelle prossime ore Fitto prenderà il largo con l’appoggio del candidato forzista in Puglia Schittulli, passato di corsa nell’armata del viceré. Verdini marcia per conto proprio. Al Senato parecchi potrebbero seguire a breve l’esempio di Bondi e Manuela Repetti, passando al gruppo Misto come fase di transito in vista della creazione di un nuovo gruppo. L’Ncd non ha più voce in capitolo. La minoranza Pd non preoccupa né Renzi il premier né Renzi il segretario. È convinto che la fuoriuscita dei dinosauri del ventennio finito sarebbe per lui solo un vantaggio. In queste condizioni, nulla può davvero opporsi alla dilagante occupazione del potere da parte del premier. Resterebbero i media. Se non fossero più servili che mai.