Della plastica non sappiamo nulla, meglio conoscere e correre ai ripari
Cos’è la plastica? Parte da questa domanda solo apparentemente banale l’indagine di un nuovo ambizioso «manualetto del piccolo chimico», scientificamente rigoroso, didascalico, ricco di contenuti tecnici ma anche di aneddoti e curiosità, piacevole e con una buona dose di ironia, destinato soprattutto a un pubblico giovane (ma anche non), firmato da tre ricercatori che da anni si occupano di divulgazione scientifica. In Quello che sai sulla plastica è sbagliato (Gribaudo, 176 pp.), Simone Angioni, Stefano Bertacchi e Ruggero Rollini smontano alcuni dei miti più potenti sulla plastica.
UN AGILE EXCURSUS STORICO ci aiuta a capire come si è evoluto nel tempo questo materiale: dalla primissima parkesina alla celluloide, scoperta inizialmente per realizzare palle da biliardo avorio-free, dalla nitrocellulosa alla formaldeide, dalla gommalacca alla bachelite, usata quest’ultima per costruire le prime radio, si attraversano innumerevoli esperimenti, come quelli delle prime pellicole per il cinema e la fotografia che erano, sì, rivoluzionarie, peccato che prendessero fuoco. Fino ad arrivare a una delle scoperte più importanti di tutti i tempi: il nylon, protagonista dell’industria bellica degli anni ‘40.
OGGI, LE PLASTICHE AD ALTA prestazione sono fondamentali in qualunque tecnologia moderna, dai vetri infrangibili alle energie rinnovabili (sì, avete letto bene…), dalle auto a benzina a quelle elettriche e a idrogeno persino. Siamo diventati catalizzatori della plastificazione più sfrenata: in vent’anni siamo passati da 234 milioni di tonnellate di plastica prodotta, nel 2000, a 460 milioni nel 2019. Così anche i rifiuti plastici sono aumentati: da 156 milioni di tonnellate a 353 milioni. Più della metà della plastica totale l’abbiamo creata negli ultimi quindici anni.
IN ASSENZA DI SIGNIFICATIVE politiche nazionali e internazionali, secondo l’Ocse la produzione continuerà a crescere fino a che, nel 2060, supererà 1,2 miliardi di tonnellate: praticamente, in trent’anni la triplicheremo. Con un incremento molto più dirompente nei Paesi emergenti e in via di sviluppo dell’Asia e dell’Africa. Con un’elencazione di regole di buona condotta per nulla scontate, i tre ricercatori demoliscono convinzioni ancora radicate. Ad esempio, voi lo sapete dove si buttano gli oggetti di plastica che non sono imballaggi ma che contengono lo stesso componente usato per l’imballo che va nella plastica, tipo gli spazzolini da denti? Nell’indifferenziata. Anche la convinzione che il problema sia la plastica stessa non è corretta. L’impatto maggiore sull’ambiente non è dovuto alla sua produzione o al suo utilizzo, ma alla sua dispersione nell’ambiente, causata da errati smaltimenti e da regole poco chiare: la cosiddetta mismanaged plastic.
UNO STUDIO PUBBLICATO su Science nel 2020 stima che la quantità di mismanaged plastic nel 2016 fosse di circa 91 milioni di tonnellate. Nel 2040 potrebbero essere mal gestite 240 milioni di tonnellate di plastica. In Italia, nel 2018 producevamo circa 2,9 milioni di tonnellate di rifiuti Ppsi (imballaggi e piccoli oggetti di plastica), che equivalgono a circa 48,5 kg a testa. I dati dicono che ne mal gestiamo quasi il 20%, cioè sbagliamo a riciclare ben 9,5 kg di plastica a testa.
L’UE STA LAVORANDO a un nuovo regolamento che estende al 2030 e al 2040 gli obiettivi di riciclo e riutilizzo degli imballaggi. Gli imballi composti da plastica riciclata dovrebbero passare dal 50 al 65% entro il 2040. L’obiettivo è anche ridurre al minimo la diffusione di plastica e incentivare la produzione di materiali riusabili più volte: entro il 2040, l’80% delle bevande da asporto dovrà essere distribuito in contenitori riutilizzabili. Nel libro, generosissimo di dati, viene anche sfatato il vecchio mito della plastica monouso: grazie alla direttiva Sup, Bruxelles è riuscita a imporre all’Italia il divieto, da inizio 2022, di commercializzare cannucce, posate, salviette umidificate, cotton fioc con plastica, così come l’obbligo, entro il 2024, di lasciare i tappi attaccati alle bottiglie.
E POI: AVETE MAI NOTATO quella tartarughina che compare sui pacchetti tipo delle sigarette? Merito della direttiva: quel simbolo indica che il prodotto contiene plastica e non deve essere disperso nell’ambiente. Gli autori ci presentano poi un «mappamondo di plastica» che fotografa i Paesi che producono più plastica e la smaltiscono peggio, le ultime ricerche su microfibre sintetiche e microplastiche (fanno male alla salute sì o no?) e un utilissimo approfondimento sul riciclo. Cosa si può fare con la plastica riciclata? Ad esempio con 20 bottiglie di plastica una coperta in pile, con 67 bottiglie l’imbottitura di un piumino matrimoniale, con 1.000 addirittura una cucina intera. Ci attende un mondo senza plastica o con una nuova plastica? In queste pagine trovate un po’ di futuro: vedremo sempre più bioplastica – l’Italia è tra i maggiori produttori europei – più Pla, Bio-Pet, bio-nylon, MaterBi e pure batteri e insetti mangia-plastica, come i bruchi. Il futuro sarà, in sintesi, produrre plastica da materiali bio, come il mais e la canna da zucchero.
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