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Del maiale si butta l’antibiotico

Del maiale si butta l’antibiotico

Allevamenti Con la campagna «Alleviamo la salute» Coop garantisce che i suini allevati per i propri prodotti a marchio negli ultimi 4 mesi sono nutriti senza l’uso di antibiotici

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 7 giugno 2018

Un rombo marrone con la scritta bianca, «Allevato senza uso di antibiotici negli ultimi 4 mesi»: è questo il bollino che, dal mese di aprile, potrà trovare, anche sui prodotti suini, chi andrà a fare la spesa in una Coop. La cooperativa della grande distribuzione – 8 milioni di soci – ha annunciato il raggiungimento di una nuova tappa della campagna «Alleviamo la salute», lanciata un anno fa. Oltre alla filiera avicola, delle uova e a quella bovina anche gli allevamenti suini sono stati coinvolti nell’iniziativa.

Come spiega Renata Pascarelli, direttore qualità per Coop Italia, la campagna è nata con due obiettivi: «Primo aumentare il benessere, perché animali che vivono meglio hanno meno bisogno di essere curati, il secondo è la riduzione dell’uso degli antibiotici, fino ad arrivare alla totale eliminazione». Una decisione maturata con gli appelli degli organismi internazionali come l’Oms, contro l’abuso di antibiotici negli allevamenti e l’insorgere dell’antibiotico resistenza.

300 mila suini adulti allevati senza uso di antibiotici negli ultimi 4 mesi di vita, per un totale di oltre 150 allevamenti coinvolti. Parliamo dei prodotti a marchio: dalla carne, ai trasformati fino ai salumi, che riforniscono le linee Fior Fiore e Origine, nei supermercati Coop di tutta Italia.

Ridurre l’uso di antibiotici implica modifiche importanti nella gestione dell’allevamento, spiega Valentina Ferrante, medico veterinario e ricercatrice dell’Università degli Studi di Milano: «L’allevatore raggiunge un compromesso tra il guadagno e la perdita. Una maggiore attenzione nella gestione può comportare dei costi aggiuntivi che vengono, però, compensati dalla riduzione della spesa farmaceutica e dalla possibilità di vendere il prodotto ad un prezzo migliore».

L’allevatore deve dunque attuare dei cambiamenti importanti nella sua azienda. Coop, nel scegliere i soggetti da coinvolgere, ha tenuto conto di strutture, tecnologie e procedure che facilitassero il raggiungimento del risultato. «Tra i requisiti che chiediamo agli allevatori ci sono: igiene maggiore, l’abolizione della castrazione senza analgesici, lo stop alla limatura dei denti, l’uso di paglia e giochi manipolabili per l’attività ludica dei suini» sottolinea Renata Pascarelli, e aggiunge: «L’obiettivo su cui stiamo ancora lavorando è l’abolizione del taglio della coda».

Anche l’alimentazione assume un ruolo rilevante nel cambio di passo che si chiede agli allevamenti. «Oltre ad alimentare i capi senza Ogm e farine animali chiediamo di mettere molta più attenzione nella razione alimentare». Anche per gli animali vale la regola: se si mangia meglio ci si ammala meno.

«Ogni volta che si propone un cambiamento c’è una resistenza iniziale», racconta la direttrice qualità di Coop Italia, facendo riferimento agli ostacoli incontrati: «Ci siamo sentiti dire: non si può fare». Alcuni allevatori non sono riusciti a raggiungere gli obiettivi richiesti e sono stati esclusi dalla campagna: «Abbiamo puntato sull’esempio di chi ha deciso di crederci». Per sostenere gli investimenti e l’impegno degli allevatori che hanno aderito al progetto, Coop ha garantito un premio di produzione per ogni singolo animale. L’investimento oggi è di 3 milioni di euro che, al raggiungimento degli obiettivi di fine anno, supereranno i 5.

La scelta di ridurre e eliminare l’uso di antibiotici negli allevamenti intensivi ha ricadute positive sull’intero sistema, conferma Valentina Ferrante, che studia da vicino le produzioni avicole: «Migliora la gestione degli animali: dalla ventilazione degli ambienti agli alloggi, dal tipo di mangime che si somministra fino alla densità, che in Italia è molto ridotta rispetto alle medie di altri paesi europei». La sostanza è semplice: stressando meno gli animali c’è meno necessità di intervenire con gli antibiotici. È fortemente connesso all’eliminazione progressiva degli antibiotici dagli allevamenti intensivi, il raggiungimento di un elevato benessere animale.

«È lo stato di salute fisica e mentale dell’animale in armonia con l’ambiente» spiega Valentina Ferrante, ricercatrice del Dipartimento di Scienze e Politiche ambientali. È un parametro misurabile, indicato nei protocolli europei, per tutte le specie allevate: «Si parte dalle cinque libertà: dalla fame, dalla sete, dal dolore, di avere un luogo di riposo confortevole, di poter esprimere il proprio comportamento e di non subire paura o stress», sottolinea Valentina Ferrante e aggiunge: «Per ognuna delle libertà esistono degli indicatori che ne verificano la presenza o l’assenza e il livello di raggiungimento».

La filiera suina è rientrata per ultima nella campagna perché è la più complessa, racconta la direttrice qualità di Coop Italia: «Le varie fasi non erano integrate e a volte non si parlavano tra loro. Ognuno faceva i suoi interessi. Adesso grazie all’integrazione in filiera, abbiamo costruito una connessione».

«Alleviamo la salute» ha ottenuto risultati anche nelle filiere avicola e delle uova dove l’uso di antibiotici è stato eliminato completamente, sin dalla nascita dell’animale. Dall’inizio della campagna, sottolinea Coop, sono state prodotte 190 milioni di uova e 26 milioni di polli e tacchini sono stati allevati senza antibiotici. A questi dati si aggiungono anche quelli della filiera bovina che ha coinvolto 130 mila bovini adulti, in cui l’uso di antibiotici è stato razionalizzato e ridotto, fino alla totale abolizione negli ultimi 4 mesi di vita. L’obiettivo è raggiungere i 1.600 allevamenti da cui provengono i prodotti a marchio. Il pollo a marchio senza antibiotici rappresenta il 75% di quelli venduti in Coop, il bovino supera il 90%, il suino rappresenta più del 15% dei salumi Coop a cui si aggiungono le vendite della carne fresca e della salsiccia. «Puntiamo ad essere apripista nel settore», sottolinea Renata Pascarelli. «Da noi esistevano già esperienze di questo genere, ma rappresentavano una nicchia. La scommessa è stata lavorare su tutto il resto».

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