Del doman non c’è certezza, quanto è bella par condicio
Ri-mediamo Comunque sia, il possibile ricorso alla scadenza elettorale è tornato nel novero delle cose di questo mondo. Sarà quel che sarà. Tuttavia, è davvero il momento di attrezzarsi con regole […]
Ri-mediamo Comunque sia, il possibile ricorso alla scadenza elettorale è tornato nel novero delle cose di questo mondo. Sarà quel che sarà. Tuttavia, è davvero il momento di attrezzarsi con regole […]
Comunque sia, il possibile ricorso alla scadenza elettorale è tornato nel novero delle cose di questo mondo. Sarà quel che sarà. Tuttavia, è davvero il momento di attrezzarsi con regole finalmente aggiornate, volte a preservare le pari opportunità tra le diverse forze in campo.
La legge n.28 del 2000 sarà un po’ desueta per ciò che attiene alla rete, ma i regolamenti applicativi lo sono ancor di più. Tanto più in relazione all’attività di monitoraggio delle presenze in video e in voce dei vari soggetti. Le tabelle che periodicamente vengono pubblicate sul sito dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni appartengono a materiali e strumenti di indagine piuttosto stagionati, legati all’analisi quantitativa tipica dell’età analogica. I dati così calcolati dicono qualcosa, ma non tutto.
Innanzitutto, la fruizione si è via via ibridata: alla visione del palinsesto classica si è unita la navigazione nella rete e nei social, costruendo una platea di composizione tecnologicamente mista e socialmente composita. Per lo meno, dunque, il monitoraggio andrebbe aggiornato. Il metodo, soprattutto in un caso simile, è pienamente sostanza. Non solo. Il mero calcolo delle unità di consumo non mette in rapporto tale elemento con l’ascolto effettivo, secondo un criterio di rilevazione che fu appannaggio del centro di ascolto radicale. Sarebbe opportuno rilanciare quell’impostazione, che correggerebbe una lettura parziale e superficiale.
Inoltre, manca – dopo qualche tentativo del passato – una diagnosi qualitativa, da costruire sulla base di criteri obiettivi, utilizzando parametri di giudizio adeguati e non arbitrari. Per esempio, è necessario rapportare i programmi agli atti autorizzatori per i privati e al contratto di servizio per il servizio pubblico. La comunicazione, al di là della natura societaria di chi vi opera, insiste su beni comuni e la competizione di mercato non deve essere l’unica bussola.
Ora che l’Agcom è entrata a pieno regime con la sua nuova consiliatura è lecito attendersi una revisione compiuta del meccanismo di monitoraggio. Per evitare storture colpevoli. Che si voti per le assemblee politiche o no, è evidente che siamo in una permanente campagna elettorale.
Del resto, come ha sottolineato da tempo la sociologia dei media, il periodo di tutela (dalla indizione dei comizi al voto) va dilatato, ribadendo anche norme elementari come il divieto di trasmettere interviste preconfezionate al di fuori delle redazioni o videomessaggi. Insomma, la par condicio è sempre, non unicamente per gli ultimi trenta giorni.
L’Agcom provò a normare gli undici mesi free dell’anno, con i regolamenti n.200 del 2000 e n.22 del 2006. Ma oggi essi appaiono una ben fragile barriera per tutelare l’articolo 21 della costituzione dal diluvio di informazione propagandistica. Urge un atto coraggioso e creativo.
Del resto, che le attuali tabelle fornite dall’autorità siano insufficienti si evince dalla lettura del papiello inerente al periodo tra il primo e il 31 dicembre del 2020, l’ultimo pubblicato. Certamente però qualche traccia emerge. Ad esempio, vi è una preponderante presenza di Matteo Salvini al tg2 (edizione ordinaria e Post): sopra Conte e Mattarella. Sempre il segretario leghista è in ottima posizione, al secondo posto, sia nel tg1 sia nel tg3. Al di là di ogni giudizio di merito, è necessario sottolineare una forte sottoesposizione del Mov5stelle, che pure ha tuttora il numero maggiore di parlamentari. In affanno la presenza del partito democratico, ai margini la rappresentazione della sinistra con l’eccezione di Roberto Speranza in veste di ministro.
Non parliamo, poi, delle rubriche extra-tg o dei programmi di intrattenimento, politicamente parlando terra di incaute invasioni di campo. Vi è, infine, il delicato argomento dei talk, dove la legge n.28 sembra talvolta proprio ignorata, con l’aggravante della riproposizione continua degli stessi ospiti. Chi decide caratteri ed ampiezza della compagnia di giro? E perché tra i giornalisti chiamati a commentare brilla l’assenza, tra gli altri, de il manifesto?
Agcom e commissione parlamentare di vigilanza date un segno, fate un cenno.
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