«Dei delitti e delle pene», Beccaria parla anche inglese
Nel 1767 «Dei delitti e delle pene» per la prima volta è stato pubblicato in inglese all’interno di un saggio su crimine e punizione. Non è questa una storia nota, […]
Nel 1767 «Dei delitti e delle pene» per la prima volta è stato pubblicato in inglese all’interno di un saggio su crimine e punizione. Non è questa una storia nota, […]
Nel 1767 «Dei delitti e delle pene» per la prima volta è stato pubblicato in inglese all’interno di un saggio su crimine e punizione. Non è questa una storia nota, ma l’opera straordinaria di Cesare Beccaria ha avuto un grandissimo impatto anche nei paesi anglosassoni. Un impatto non solo sulle scienze giuridiche ma anche sugli studi filosofici e sulla letteratura.
È questo un qualcosa di cui essere orgogliosi. Un intellettuale italiano ha esportato in luoghi chiave delle democrazie odierne una idea di giustizia e di pena di cui fino ad allora non si era vista traccia nella storia del pensiero mondiale. Dall’invito alla dolcezza delle pene fino alla proibizione della tortura e della pena di morte, passando da una nuova idea di punizione regolamentata nel tempo e nello spazio e sottratta all’arbitrio del sovrano.
Di tutto questo si parlerà nella conferenza internazionale cominciata ieri all’Università La Sapienza di Roma e che prosegue giovedì 14 e venerdì 15, organizzata dalla Società italiana di studi sul secolo XVIII e dalla British Society for Eighteenth-Century Studies in collaborazione con La Sapienza Università di Roma e l’Associazione Antigone.
Sono decenni che dai paesi di lingua inglese importiamo politiche penali selettive e classiste, finanche irriguardose di principi sacrosanti del diritto, primo fra tutti l’intangibilità della libertà personale.
Negli Stati Uniti prima e nella Gran Bretagna dopo abbiamo visto fare carta straccia di alcune regole fondamentali dello stato di diritto nel nome della lotta al terrorismo internazionale. Facendo fare passi indietro secolari alla cultura giuridica di quei paesi, i criminali sono stati trattati come nemici, arrivando a giustificare forme di detenzione arbitraria. In Inghilterra si è ritenuto che i moniti e le sentenze della Corte Europea dei Diritti Umani su temi quali il divieto di respingimento verso paesi che praticano la tortura o il diritto di voto per le persone detenute fossero solo delle seccature alle quali sottrarsi.
A tratti tutto ciò è arrivato anche in Italia, provocando un’alterazione profonda di alcune conquiste giuridiche di cui avremmo dovuto essere fieri.
Negli ultimi mesi, il dibattito razzista e fascista sui migranti e il rinascere di populismi securitari ci fanno allontanare drammaticamente dai contenuti di quel meraviglioso libretto del 1765.
A Roma si è deciso meritoriamente di celebrare i 250 anni della sua traduzione inglese. Purtroppo non ci paiono questi i tempi in cui il paese e le sue istituzioni si sentono rappresentate dal grande filosofo milanese. Proprio per tale motivo questa storia va raccontata.
Lo faranno dunque studiosi di molte discipline – filosofia, diritto, storia, studi letterari – provenienti dalle Università di tutta Europa, riuniti all’Università La Sapienza nell’Aula Levi della Vida, alle Ex Vetrerie Sciarra, in via dei Volsci 122.
Patrizio Gonnella è presidente di Antigone
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento