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Deglobalizzazione selettiva, l’Italia dei paradossi

Nuova Finanza pubblica La rubrica settimanale di economia politica. A cura di autori vari.
Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 20 agosto 2022

Abbiamo sostenuto spesso la tesi che i processi di de-globalizzazione selettiva siano premessa, e non semplicemente conseguenza, del conflitto militare in corso. Gli Stati Uniti in particolare, scottati dal crescente deficit commerciale con la Cina, hanno aperto una guerra dei dazi iniziata da Obama, radicalizzata da Trump e solo stemperata da Biden nei confronti dell’Europa.

Gli Usa, da primi sostenitori interessati della globalizzazione, si sono trasformati nel principale paese restio a proseguire su questo assetto mondiale. La Guerra di aggressione di Putin ha obiettivi imperiali e vive di una sua logica autonoma, ma in qualche modo ha trovato nel nuovo quadro geopolitico ed economico maggiori possibilità di essere considerata un’opzione praticabile. L’inflazione non è semplicemente l’effetto della guerra, quanto l’espressione dei costi crescenti dovuti alla rottura delle vecchie catene del valore, a partire da settori considerati strategici dai singoli paesi e non solo sul piano militare.

Ovviamente la guerra ha accelerato ulteriormente queste tendenze, rendendo plateale ciò che maturava dietro le quinte. In un certo senso la guerra è contemporaneamente una sfida all’egemonia statunitense e un favore alla nuova linea economica difensiva del gigante americano.

I dati Istat sulle esportazioni italiane nei primi sei mesi del 2022 confermano una realtà economica in rapido mutamento geografico. Le vendite aggiuntive nei primi sei mesi hanno fatto segnare un +7,2 miliardi di euro verso gli Usa (sospinte anche da un Euro debole), +6,2 con la Germania e +5,3 con la Francia. Gli unici segni negativi riguardano la Russia (-0,6) e la Cina (-0,2).

Questi dati possono indicare un cambiamento nei flussi commerciali almeno in alcuni settori, ma ovviamente la globalizzazione non si può spegnere con un interruttore. Le importazioni sono cresciute di più delle esportazioni, con il particolare contributo del settore energetico. Il deficit commerciale verso la Cina nel 2021 ha toccato il suo picco massimo nel Vecchio continente. Il quadro non può che essere altamente instabile e vive di spinte contraddittorie, ma inflazione e regionalizzazione di alcuni mercati strategici sembrano tendenze in via di rapido consolidamento.

In questo quadro emerge un paradosso. Tra il 2021 e 2022 si va consolidando una crescita italiana superiore alla media europea, mentre la Germania sembra in maggiore difficoltà. C’è chi ha attribuito questi dati rovesciati, rispetto allo schema degli ultimi trent’anni, a una improvvisa dinamicità della nostra industria o agli effetti di alcuni provvedimenti governativi come i bonus 110 o il piano industria 4.0, ma la sensazione è che l’Italia potrebbe beneficiare complessivamente della de-globalizzazione selettiva, sostituendosi alla Cina come fornitore dell’Occidente almeno in alcuni settori.

La gelata salariale che ci vede fanalino di coda a livello europeo per crescita delle retribuzioni negli ultimi trent’anni, potrebbe essere il fattore decisivo di questo nuovo dinamismo, assicurando prodotti manifatturieri di qualità a prezzi competitivi da un paese geopoliticamente amico. Di questo ci parlano i dati sulle esportazioni? Forse è presto per dirlo, anche perché la quota mondiale delle esportazioni italiane è calata di un punto decimale nel 2021.

Per capire cosa accade dobbiamo confrontare l’economia italiana non solo con la Germania. La sensazione è che l’Italia possa essere il paese che regge un po’ meglio nel continente che pagherà il prezzo maggiore in questo contesto geopolitico in rapido divenire. L’Italia per il proprio profilo produttivo concentrato in segmenti a bassa produttività, grazie anche al fallimento delle privatizzazioni, è il paese industrializzato ad aver sofferto di più l’emergere dell’industria asiatica, In quella che sembra una nuova transizione epocale forse potrebbe consolidarsi una tendenza opposta, fondata principalmente sul basso costo del lavoro.

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