Economia

Def, la scuola conta meno delle imprese

Nonostante i tagli draconiani, anche quest’anno le scuole italiane hanno regolarmente funzionato e garantito la loro offerta formativa a centinaia di migliaia di studenti. Fortemente sottodimensionato, il personale Ata ha […]

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 18 aprile 2014

Nonostante i tagli draconiani, anche quest’anno le scuole italiane hanno regolarmente funzionato e garantito la loro offerta formativa a centinaia di migliaia di studenti. Fortemente sottodimensionato, il personale Ata ha lavorato a pieno ritmo e i docenti hanno svolto le loro funzioni strumentali, di coordinamento, di recupero e di potenziamento della didattica.

Oggi ci troviamo tuttavia in una situazione gravissima: il fondo d’istituto delle scuole italiane non ha la consistenza economica per coprire tutte le attività di intensificazione, aggravio e straordinario che il personale docente e non docente ha effettuato durante l’anno per garantire il regolare funzionamento dei Piani dell’Offerta Formativa, previsti dalla legge sull’autonomia. Poche migliaia di euro erogate come anticipo all’inizio dell’anno scolastico dal ministero dell’Istruzione sono oggi l’unica consistenza economica di cui le scuole dispongono. In molte scuole la contrattazione integrativa si sta chiudendo con una fortissima riduzione dei compensi, assurti a cifre simboliche, in molte altre non si apre neppure. In molte scuole si sta attingendo al contributo volontario delle famiglie per pagare personale e docenti!

Dov’è finito il miliardo e trecento milioni di euro di crediti che le scuole vantano da anni nei confronti dell’amministrazione centrale? Quel credito che alcune circolari ministeriali in passato hanno vergognosamente chiesto alle scuole di inserire nell’«aggregato Z» del bilancio, così da renderlo inesigibile?
Nel Documento di Economia e Finanza 2014 in discussione in parlamento neanche una parola. E nessun deputato e senatore, impegnato in questo momento nella sua battaglia pro o contro il Def, ricorda che l’amministrazione centrale ha debiti non solo nei confronti delle imprese ma anche con tutte le scuole d’Italia, messe oggi in condizione di non poter pagare i lavoratori. Com’è possibile che nonostante gli otto miliardi di risparmi effettuati nel comparto scuola solo con la legge 133/2008 (il 30% dei quali avrebbe dovuto essere reinvestito nella scuola), il mancato rinnovo dei contratti degli insegnanti, il blocco degli scatti di anzianità, la progressiva riduzione dei fondi per il funzionamento della scuola e per le attività di recupero e sostegno, siamo oggi di fronte possibilità che il nostro salario accessorio, a fronte di un lavoro regolarmente effettuato, non venga erogato? Il governo deve dirci se abbiamo lavorato pro bono. Deve dirlo a centinaia di migliaia di lavoratori. Deve avere il coraggio di dirci che, mentre i politici e i boiardi di Stato continuano ad accumulare introiti e pensioni da favola, noi, docenti e non docenti delle scuole italiane, con uno stipendio medio di 1.200 euro al mese, abbiamo fatto, a nostra insaputa, un volontariato coatto.
* docente Liceo Pasteur Roma

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