Economia

Def, i sindaci evitano nuovi tagli

Def, i sindaci evitano nuovi tagliI sindaci Dario Nardella, Ignazio Marino e Piero Fassino ieri a Palazzo Chigi dopo l'incontro con il premier Matteo Renzi – Lapresse

L'incontro con Renzi Palazzo Chigi rassicura i primi cittadini, ma restano «insostenibili» i sacrifici richiesti a metropoli e province. Ancora poco chiari i contorni della «spending review», che comunque dovrà reperire 10 miliardi. E intanto i piccoli comuni si coalizzano contro l’accorpamento delle funzioni disposto dal governo

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 10 aprile 2015

I sindaci si ritengono soddisfatti dall’incontro di ieri con il premier Matteo Renzi, anche se ancora su alcuni punti si dovrà lavorare, come ad esempio la ripartizione dei sacrifici delle città metropolitane. «Il presidente del Consiglio ha chiarito che allo stato attuale un testo del Def non esiste, esistono bozze di lavoro, che non vanno assunte come decisioni adottate, e in particolare che il Def che il governo si appresta a varare non prevede nuovi tagli a carico dei Comuni», ha spiegato il presidente dell’Anci Piero Fassino uscendo dall’incontro. Restano però in ballo i 10 miliardi di euro da reperire per il 2016 attraverso la spending review, quindi è tutto ancora da scrivere il capitolo sui destinatari di questi tagli: probabilmente i ministeri, e le partecipate.

I sindaci hanno fatto il punto subito dopo tra di loro, mentre il presidente Renzi, che si apprestava ad andare in conferenza stampa, ha dovuto sospendere il briefing con i giornalisti a causa dei fatti di Milano. L’Anci è al lavoro per «avanzare una proposta condivisa» da sottoporre a Palazzo Chigi mercoledì prossimo, con l’obiettivo di «gestire l’impatto dei tagli previsti per le città metropolitane, in particolare per Roma, Firenze e Napoli», ha spiegato Fassino. «Per esse il taglio, per i criteri adottati, risulta oneroso e significativamente più alto che per le altre».

E se da un lato i Comuni sembrano aver sotterrato l’ascia di guerra, dall’altro lato le province – enti dal futuro ancora piuttosto incerto, chiuse per il momento solo virtualmente – hanno spiegato di essere arrivate allo stremo, e che non reggeranno ulteriori tagli. Se verrà confermata l’ulteriore riduzione di fondi per 5 miliardi di euro nel biennio 2016-2017, ha dichiarato l’Unione province italiane, il rischio è bloccare la riforma avviata. «Impossibile – ha dichiarato il presidente Alessando Pastacci, riferendosi all’ipotesi di riduzione delle dotazioni anche per i prossimi due anni – Dopo il 2015 non c’è più margine. A un anno esatto dal varo della riforma, si ferma tutto».

«Con la legge di stabilità 2015 – ha aggiunto il presidente dell’Upi – 23 Province su 76 si vedranno ridotti i bilanci in una percentuale che va dal 20 al 30% della spesa corrente in meno. La media nazionale è di oltre il 15%, che in valori assoluti significa quasi 9 milioni in meno a Provincia, con picchi che arrivano a quasi meno 35 milioni. È evidente che parlare di margini ulteriori di riduzioni per il prossimo biennio è impossibile. Vuol dire affossare la prima grande riforma istituzionale del Paese a un anno dal varo».

Con l’ultima legge di stabilità i nuovi enti sono stati messi nella condizione di non avere neanche le risorse sufficienti a coprire le funzioni fondamentali che la legge ha loro assegnato, dalla sicurezza delle strade provinciali alla gestione delle scuole superiori, dalla tutela dell’ambiente ai servizi di supporto e assistenza ai Comuni. L’Upi ha quindi rilevato che già nel 2015 sono a rischio dissesto diverse province «ma è evidente che se il governo intende mantenere 2 miliardi di tagli per il 2016 e 3 per il 2017, anche quelle che riusciranno a chiudere il bilancio 2015 non saranno più in grado di fare nulla nei prossimi due anni».

E contro il governo si sono schierati anche i Piccoli Comuni, che ritengono «incostituzionale» l’accorpamento delle funzioni disposto dal governo, e hanno pure fatto ricorso al Tar: l’iniziativa è promossa da Asmel, l’Associazione per la sussidiarietà e la modernizzazione degli enti locali, che raggruppa oltre 2.200 Comuni in tutta Italia e il ricorso è partito dalla Campania.

Intanto, in vista dell’annunciata spending review, la Cgia di Mestre ha conteggiato i tagli degli ultimi sette anni: tra il 2009 e il 2015, Comuni e Regioni anche a seguito degli ingenti tagli ai trasferimenti disposti dalle varie manovre, hanno ridotto le proprie spese di ben 26,4 miliardi di euro, mentre le amministrazioni centrali – ovvero i ministeri, le agenzie fiscali, le autorità amministrative, etc – hanno tagliato le proprie uscite di 6,4 miliardi. Questo in cifre assolute, ma rispetto ai relativi bilanci si tratta di un 3% di tagli per le amministrazioni centrali contro l’11% agli enti locali.

Critiche al Def sono venute dalla Cgil: «Ancora tagli e nessuna azione contro la disoccupazione», mentre la Cisl ha chiesto al governo «coraggio per sfoltire le partecipate»

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