Doccia gelata sul Def approntato dal governo: i tecnici di Camera e Senato ieri hanno emesso una relazione “da brivido”, in cui hanno messo in evidenza i super costi richiesti dalle agevolazioni fiscali contenute nella legge di Stabilità (ben 161 miliardi, il 10% del Pil), dalle clausole di salvaguardia (70 miliardi in 3 anni) e addirittura il rischio di una manovra di 6 miliardi, lo 0,4% del Pil.

«Nel caso in cui lo Stato non attui le riforme concordate – si legge in un dossier di 215 pagine dedicato al Def. – la deviazione temporanea dall’obiettivo di medio termine non sarebbe più garantita» e «la mancata attivazione della clausola sulle riforme (o il suo venir meno) comporterebbe la necessità di una correzione dell’indebitamento netto strutturale dello 0,5% (a fronte dello 0,1 previsto), riportando quindi il pareggio del bilancio strutturale al 2016».

Prevedibile il risultato di questa analisi: per i prossimi mesi il governo Renzi smentirà una volta al giorno le notizie ossessive su una manovra extra-strong oppure su un’altra straordinaria. Di «tesoretto» non sembra essere più il caso di parlarne. Ma Renzi, di sicuro, insisterà per garantire la sua mancetta elettorale in vista delle regionali di fine maggio. A costo di aumentare il deficit. Poi, con calma, penserà a rabbonire gli austeri censori europei che fanno le pulci ai bilanci italiani.

Ma questo è solo il primo siluro della realtà, e dei conti, al Def di Padoan-Renzi. Il secondo colpisce il Jobs Act che langue in attesa che il governo completi le deleghe. Il Def 2015 ha fissato un cronoprogramma per l’attuazione del Jobs act e prevede l’adozione, entro maggio 2015, dei decreti legislativi sulla semplificazione delle procedure e degli adempimenti e sull’agenzia per l’attività ispettiva.
Entro giugno 2015 sarebbero previsti quelli sugli ammortizzatori sociali e sulle politiche attive. Alla lente dei tecnici la realtà risulta diversa: «Il cronoprogramma – si legge – non sembra prevedere l’adozione di decreti legislativi volti ad attuare talune parti della legge delega, in particolare quelle relative all’introduzione del tax credit quale incentivo al lavoro femminile e alla cessione di giorni di riposo aggiuntivi fra lavoratori dipendenti dello stesso datore di lavoro».

Sia chiaro che anche questa relazione si muove nell’insuperabile perimetro dell’austerità. Questo lavoro viene redatto per misurare la conformità dell’azione economica del governo rispetto ai paletti imposti dalla Troika. Ecco l’insistenza sulle «riforme»: cioè privatizzazione, precarizzazione, tagli e smantellamento del welfare. Nel caso in cui il governo non attui le riforme concordate con gli austerici di Bruxelles e di Berlino. Questo è il cronoprogramma sul quale i tecnici ieri hanno rilevato i ritardi e le incompletezze del lavoro portato avanti dall’esecutivo. Si taglia, si fa austerità, con ritmo, insomma.

Già note le notizie sugli interessi sul debito. Per il QE della Bce la spesa per interessi pagata dall’Italia dovrebbe scendere nel 2015 del 7,7% con un risparmio di 5,8 miliardi, ma aumenterà nel 2016.

Sono risorse usate per evitare la spending review che, in caso contrario, arriverebbe ad oltre 16 miliardi nel 2016, oltre 25 nel 2017 e sopra 28 miliardi a partire dal 2018.