«Non ricordo da dove abbiamo cominciato, perché da qualche parte lungo il tragitto il significato si è perso, parcheggiandosi in un vicolo di una zona solitaria della città», canta Ian Gillan con voce d’improvviso malinconica ma così vitale e potente, malgrado i suoi quasi ottant’anni, durante Bleeding Obvious, la canzone che chiude il ventitreesimo album dei Deep Purple, dal titolo matematico e allegorico insieme, =1, che potrebbe alludere ad una sublimazione o ad una semplificazione definitiva fino all’unità.

MA IL SIGNIFICATO e il valore rock della musica dei Deep Purple non sembrano smarriti affatto mentre si sente (nell’accezione più emotiva del termine) il nuovo lavoro di questa band assai prolifica, tredici canzoni per quasi un’ora che trascorrono lasciando già un segno al primo ascolto, coniugando un classicismo sfrenato ad improvvise ed anticonformiste derive dal passato ormai ancestrale e persino da quello più recente. La ricerca di suoni, toni, temi e di un «umore» musicale che si percepisce tendere alla negazione e alla trasvalutazione delle ombre e delle malinconie di alcuni tra gli ultimi album dei Deep Purple si deve alla presenza determinante in fase di composizione e registrazione del «giovane» chitarrista Simon McBride, che ha sostituito Steve Morse dopo il suo abbandono del gruppo.

UNA STORIA (della musica) che continua, che non si sforza di adeguarsi alle mode e alle tendenze che comunque ha contribuito in maniera seminale a creare, che rimane squisitamente hard senza mai tendere ad essere heavy o ammiccare al progressive come invece era già accaduto. Quindi l’energia di una musica che non alimenta quella confusione comunque anche balsamica come tanto rock duro e puro, ma che fluisce lasciando sempre nella consapevolezza delle sue parti componenti, dell’unicità e dell’eccellenza delle sue voci; canzoni delle quali sarebbe utile leggere la partitura, studiare le parole prima di lasciarsi cogliere da una inevitabile emozione. Materiale da «school of rock», =1 contiene nel suo notevole insieme canzoni che fanno vagheggiare un’esecuzione in concerto dove rivelerebbero una grandezza, risuonando con i capolavori del passato, brani già classici come Show Me, Old-Fanged Thing, Pictures of You, No Money to Burn e la bellissima I’ll Catch You, il pezzo più suggestivo dell’album con i suoi qui davvero evidenti accenti blues e la voce di Ian Gillan che ricorda in una maniera struggente e sorprendente quella di Bowie.