Al termine del Consiglio dei ministri ieri è andata in onda una vendita delle pentole elettorali chiamata «Decreto salva casa». Un modesto condono edilizio mascherato, concepito per solleticare gli interessi piccoli e grandi, è stato presentato come una «rivoluzione liberale». Lo ha fatto il vicepremier ministro delle infrastrutture Matteo Salvini, impegnato in una gara all’ultimo voto con Forza Italia per piazzarsi secondo dietro Fratelli d’Italia al voto delle Europee dell’8-9 giugno.

Un favore a chi sanerà una veranda di qui, e una stanzetta con vetrata di là. E poi una moratoria per i proprietari dei locali ai quali saranno abbuonati i «dehors» per motivi «sanitari, educativi o assistenziali». Norme fatte passare come l’opera di Piero Gobetti. L’appropriazione liberista della sua rivoluzione, che in realtà era sociale e politica, è un classico delle destre italiche. Sull’istinto dell’individualismo proprietario e sull’interesse speculativo parassitario, cioè l’opposto di quanto sosteneva Gobetti, è basato l’ultimo decreto del governo Meloni, un manifesto elettorale e ideologico messo nelle urne.

Le differenze sono irrilevanti per i nipotini di Berlusconi. Lo era anche per quest’ultimo che intendeva il «liberalismo» come sinonimo dell’essere proprietari di beni inalienabili dalla burocrazia pubblica. Quest’ultima, in realtà, non progetta un esproprio, ma dovrebbe fare applicare le leggi in un paese dove lo Stato costituzionale di diritto è spesso un’opinione. Salvini ha alluso alla possibilità che la «burocrazia» possa insidiare il «pieno utilizzo degli immobili dei legittimi proprietari». I quali, grazie al «suo» decreto, saranno liberi di allargarsi, di cambiare destinazione d’uso, di dare un colpo di spugna alle sanzioni per le violazioni superiori al 2% della superficie dell’immobile. E potrebbero essere contenti di sapere che nessun Comune sarà mai in grado di esaminare una pratica di sanatoria entro i 45 giorni stabiliti e che si potranno presentare sanatorie illegittime senza che nessuno le possa rigettare. «Una norma perfetta per spalancare la strada a nuovi abusi» ha commentato Legambiente.

Anche ieri Salvini, seguito dall’intendenza, ha scatenato la guerriglia parolaia sul fatto che il «decreto salva casa» ( un nome, un programma) «non è un condono». Per il condono servirebbe una legge speciale il cui obiettivo è regolarizzare un intervento edilizio di cui non si ha titolo. La sanatoria, com’è il caso del decreto governativo che sarà approvato dalle Camere dopo le elezioni europee, permette di regolarizzare un intervento edilizio che può essere realizzato, ma del quale non si dispone di titolo abilitativo. Quando si parla di «condono mascherato» si intende però l’uso opportunistico della sanatoria che produce gli effetti reali del condono. Una tecnica diffusa sia nell’urbanistica, che nel fisco. È stato stimato che questo esecutivo abbia fatto ricorso a una simile tecnica per 19 volte. Un «condono mascherato» al mese.

Un altro aspetto di un provvedimento iniquo è stato evidenziato da Stefano Chiappelli, segretario generale del Sunia Cgil. Invece di fare un decreto sull’edilizia residenziale pubblica per affrontare la gravissima crisi abitativa che colpisce inquilini, studenti fuori sede, famiglie meno abbienti alla ricerca di un alloggio in affitto a canoni sostenibili, il governo ha preferito rivolgersi a quella che ritiene essere la propria base elettorale. È lo stesso istinto classista che lo porta a privilegiare il ricorso alle locazioni brevi e al canone libero che ancora godono di una fiscalità di vantaggio. Salvini si è reso conto del problema e ha promesso una «seconda puntata» del decreto. Sono in molti ad avere l’impressione che non ci sarà. Anche perché non ci sono i soldi.

Angelo Bonelli (Alleanza Verdi Sinistra) ha segnalato un altro possibile risultato del decreto: «Gli immobili dei centri storici si trasformeranno definitivamente in residenze turistiche e commerciali. Il decreto permetterà la desertificazione abitativa dei centri storici grazie alla norma che prevede la modifica della destinazione d’uso degli immobili nelle zone territoriali omogenee».

Oltre al varo di un decreto su sport e sostegno didattico agli alunni disabili, il consiglio dei ministri ieri ha «sospeso», e non abolito, il «redditometro», protagonista della settimana più pazza del governo Meloni. Il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti ha parlato e ha detto di condividere la scelta. Così ha dato un altro colpo al suo vice Maurizio Leo di Fratelli d’Italia. Un capro espiatorio. Da questi segnali si vede che la delega di riforma fiscale, gestita da Leo, si trasformerà in un campo minato. E questo è solo l’inizio.