Decibel: «Ma non chiamatela nostalgia»
Note sparse Ritorna il trio di Enrico Ruggeri, Silvio Capeccia e Fulvio Muzio con un nuovo album «Noblesse Oblige». «Abbiamo fortemente voluto un disco privo di tastiere virtuali, di groove di batteria, senza sequenze pre-registrate»
Note sparse Ritorna il trio di Enrico Ruggeri, Silvio Capeccia e Fulvio Muzio con un nuovo album «Noblesse Oblige». «Abbiamo fortemente voluto un disco privo di tastiere virtuali, di groove di batteria, senza sequenze pre-registrate»
«Volevo fare qualcosa per i miei 60 anni ma l’idea del solito disco di duetti con i colleghi non mi piaceva. Così ho chiamato i ragazzi e ho detto: proviamo a scrivere delle canzoni e se riteniamo che non siano all’altezza degli album pubblicati dai Decibel, buttiamo via tutto. E invece eccoci qui!» Esordisce così Enrico Ruggeri, con la consueta e disarmante franchezza, sintetizzando in un paio di frasi il ritorno con l’album Noblesse Oblige uscito lo scorso 10 marzo, di una band che ha segnato, con un graffio indelebile, il «delicato» passaggio di consegne musicale fra i ’70 e gli ’80. Per i più, i Decibel sono ricordati come i marziani che, ebbri di punk e Roxy Music, si presentarono a Sanremo nel 1980 con un look a metà fra i Kraftwerk e i capelli ossigenati del Lou Reed di Sally Can’t Dance.
Arrivarono quarti (superati da Pupo, Enzo Malepasso e Toto Cutugno) con Contessa, micidiale eredità del cabaret tedesco a la Kurt Weill, realizzarono un album, Vivo da re, «già post-punk pre new wave» per poi perdersi nelle beghe e nei tritacarne discografici e non «La fine dei Decibel è avvenuta per vari motivi – spiegano i Decibel – La giovane età, guerre tra proprietari dell’etichetta discografica e in più sul palco ci tiravano i peluche rosa mentre, durante il concerto dei Ramones al Palalido di Milano, i punk gridavano “Decibel figli di puttana”. Insomma, non eravamo in sintonia con il tipo di successo post Sanremo».
La storia solista di Enrico Ruggeri la conosciamo mentre nei decenni si perdevano le tracce di Fulvio Muzio, tastierista e co-fondatore della band: «In questi anni ho fatto il medico ma ho continuato a suonare e ad approfondire aspetti legati alla musica, trovando un trait d’union con la mia professione ovvero la musicoterapia» e del chitarrista Silvio Capeccia «Nel mio caso, dopo l’uscita dal gruppo, mi sono dedicato all’ambient music per molti anni per poi ritrovare prima Fulvio, con una serie di progetti di psicoacustica, e poi Enrico. Diciamo che l’esperienza galeotta è la festa di compleanno di un comune amico, per il quale ci siamo esibiti, e poi un viaggio a Londra per vedere gli Sparks in concerto».
Anticipato dal singolo My My Generation, vero e proprio tributo alle sempre fulgide costellazioni musicali (dai The Who ovviamente, passando per Bowie, gli Stranglers e i New York Dolls), l’album non nasce come operazione nostalgia ma contiene 11 nuove tracce, sorrette dal classico storytelling di Ruggeri e da un culto del suono che ha quasi del romantico «Abbiamo fortemente voluto un album privo di tastiere virtuali, di groove di batteria, senza sequenze pre-registrate» hanno spiegato i tre «Durante il tour, Silvio suonerà solo tastiere d’epoca, dal mellotron al minimoog fino al mitico organo Vox Continental».
Dichiarazioni combat-rock che la band si appresta a confermare con un tour partito il 17 marzo da Cremona e che toccherà poi Roma, Genova, Milano e Torino, visto che, come ribadiscono le prime strofe di My My Generation «La mia generazione/Non è ancora troppo tardi».
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