«De re metallica», mezzo millennio di attualità
I critici affermano che le attività minerarie e metallurgiche danneggiano gli alberi e i campi, da cui pure si ottengono cibo e legname, e distruggono gli uccelli che forniscono carne pregiata […]
I critici affermano che le attività minerarie e metallurgiche danneggiano gli alberi e i campi, da cui pure si ottengono cibo e legname, e distruggono gli uccelli che forniscono carne pregiata […]
I critici affermano che le attività minerarie e metallurgiche danneggiano gli alberi e i campi, da cui pure si ottengono cibo e legname, e distruggono gli uccelli che forniscono carne pregiata e rallegrano l’animo col loro canto». Questa frase, che sembra tratta da uno dei tanti dibattiti odierni sugli effetti della produzione di merci sulla natura, è invece stata scritta quasi mezzo millennio fa da Georg Bauer, detto Agricola.
Agricola replica garbatamente alle critiche affermando che gli effetti negativi sulla natura ci sono certamente, ma che le attività minerarie offrono materiali utili agli esseri umani come i metalli essenziali per il progresso: ferro, rame, zinco, antimonio, eccetera. Il dibattito è contenuto nella principale opera di Agricola, il trattato in dodici libri De re metallica, cioè sull’arte e la tecnica dell’estrazione dei minerali e della produzione dei metalli pubblicata in latino, postuma, nel 1556.
Agricola era nato nel 1494 a Glauchau nell’attuale Germania, si era laureato in medicina nell’Università di Ferrara. Dal 1527 al 1533 ricoprì l’ufficio di medico a Joachimsthal (oggi Jachymov), in Boemia (attuale Repubblica Ceca) e, dal 1534 fino alla morte, avvenuta nel 1555, fu medico e poi sindaco a Chemnitz, nella Germania orientale.
Vivendo nella più grande regione mineraria dell’Europa del tempo, nel cuore delle montagne metallifere (Erzgebirge), ebbe modo di osservare, studiare e descrivere tutte le fasi dell’attività delle miniere e delle industrie metallurgiche.
Il De re metallica comincia con lo spiegare che miniere e forni devono essere collocati vicino ad un bosco e ad un fiume; il bosco fornisce la legna per la costruzione dei pozzi e da usare come fonte di energia per le fornaci e l’acqua deve trascinare via i detriti della frantumazione dei minerali, anche se Agricola non manca di rilevare il danno del conseguente inquinamento. L’energia è inoltre fornita sia dal moto delle acque sia dal vento.
Un libro descrive le analisi chimiche necessarie per misurare sia la concentrazione dei metalli utili nei minerali, sia la purezza dei metalli ottenuti. Il metodo per la valutazione della purezza dell’oro è usato ancora oggi.
Agricola parla, con competenza di medico, delle dure condizioni in cui viene svolto il lavoro dei minatori e delle malattie e intossicazioni a cui sono esposti per l’esposizione ai miasmi e ai fumi e anche a «spiriti» (emanazione di radon?) che provocavano strane visioni ai minatori.
Agricola spiega bene che la trasformazione dei minerali in metalli richiede forni in cui il minerale è addizionato con terre fondenti e carbone di legna: il metallo cercato è recuperato allo stato fuso. In tale operazione si formano fumi nocivi e irritanti per i lavoratori e per l’ambiente circostante per cui le attività metallurgiche devono svolgersi lontano dalle città.
Sono passati cinque secoli, ma ancora oggi la produzione di merci, anche utili, ha sulla natura, sui lavoratori e sugli abitanti vicini, effetti dannosi evitabili soltanto con innovazioni tecniche e con una opportuna localizzazione delle fabbriche.
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